Emma Dante: Il Festino, 2009
Emma Dante: cani di Bancata, 2007
Emma Dante: La scimia, 2006
Emma Dante: Mishelle di Sant’Oliva , 2005
Emma Dante: Medea
Emma Dante: MPalermu e Carnezzeria
Ormai Emma Dante è un fenomeno di
massa e la massa, si sa, fa volume, strepita, scalcia,
urla. Ormai sinonimo di purtroppo perché se anche la Dante diviene
icona, totem e amuleto allora la cultura televisiva e calcistica ha assorbito un altro pezzo di indipendenza teatrale.
L’idolatria abbonda sulla bocca degli stolti. Il suo “Cani di bancata” è come sempre ricco e debordante, con il siculo
stretto, meno acre o rosposo stavolta, infarcito di
“italiano” che qui sembra dialetto minoritario e suburbano, ma meno deciso e
spinto rispetto ad altre “faccende”. Le corde toccate in “Carnezzeria”,
le viscere aggrovigliate di “Vita mia” sono sideralmente lontano dalle bancate
di Ballarò o della Vucciria.
Esco dal teatro e resto impassibile: non è un bel segno dopo aver visto una piece che parla di Cosa Nostra. Non viene
aggiunto niente di nuovo, “La mafia non esiste”, il tutto intriso ora da
banalità, “siamo tutti mafiosi” (culturalmente), adesso da lampi scenici,
strutture di vere e proprie coreografie di corpi-oggetto perfetti e precisi nel
loro galoppare sincronico supportati da una continua danza di violenze e
prevaricazioni e angherie in una Famiglia, l’Italia capovolta dell’ultima
scena, campanilista, ghettizzante, divisa, scissa, nemica del vicino di
pianerottolo. Mafiosi, con le mutande bianche e linde come la coscienza, sono
il Governatore e l’Arcivescovo, il Direttore del giornale ed il
Sottosegretario, l’Imprenditore edile e il Farmacista, il Colonnello. Attacca
con una canzone popolare, rigorosamente a cappella, corde
vocali roche e capelli corvino, la cantantessa
Carmen
Consoli che proprio con la
Dante ha realizzato la regia del suo ultimo spettacolo teatral cantante gaberiano. Due
siciliani, e per giunta donne, che ce l’hanno fatta. Il
ponte di Rialto in stile veneziano fatto con sedie da Pontefice con schienale
traforato che sembra una gabbia inchioda i protagonisti, tutti maschi tranne
la Mamma Santissima, nel rituale
dell’affiliazione. O dentro o fuori. O amico, e per sempre, o nemico, da eliminare anche subito. O con me o contro di me. Non ci sono mezze misure, come le
stagioni. I baci sulla bocca come colla a sancire il contatto
permanente, la chiusura all’esterno, la fiducia totale e cieca. “Nel
nome del Padre, del Figlio, della Madre e dello Spirito Santo” è la nenia
formale che oscilla tra il sacramento e il blasfemo. I movimenti sono danze omosessuali,
con la canna della pistola (al contrario ricorda uno Stivale) in bocca, da “Sud Side Story”, da duelli in stile “Tano da morire”, morsi
dalla tarantola, con i soldi come petali (“American Beauty” o “Proposta
indecente”) che cadono a coprire il pavimento. Banconote, pistole, gun’s and roses,
gestione dei rifiuti: non c’erano altri modi, certo più innovativi, per
descrivere la mafia-vedova nera? Il trono della madre-mafia, malata e ferita e
quindi ancora più pericolosa, si sfalda in un banchetto obliquo ed iniquo, una
piramide di potere dove cola il vino-sangue, il pane-corpo sputato e vomitato bulimicamente. Davanti a tutto questo l’uomo comune, in
mutande nere sporche come la coscienza popolare omertosa come le tre
scimmiotte, l’uomo della strada, e non di strada, un
po’ Fantozzi
e un po’ Mister Bean,
invitato alla festa soccombe schiacciato, con il cappio al collo, in regole
asfittiche.
Voto
7