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  27/04/2024 - 02:09

 

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Momix
Sun Flower Moon
La coreografia di Moses Pendleton per celebrare il venticinquesimo anniversario della fondazione del gruppo di acrobati e ballerini
26, 27, 28 gennaio al Teatro Verdi di Firenze, 30-31 gennaio 2007 al Teatro Politeama di Poggibonsi

 




                     di Tommaso Chimenti


Momix, Sun Flower Moon, 2007
Momix e Swingle Singers
 Opus Cactus
Elastesse, by Pantene
Intervista a Moses Pendleton, estate 2000


Il piano è doppio e crea uno squilibrio iridescente visivo tra la superficie del telo che imbarca il boccascena come sipario traforato e trapuntato, permeabile alle e dalle immagine, e i movimenti sincronici e sincopatici, atletici e ginnici, acrobatici e muscolari del gruppo dei dodici ballerini. Sulla tela si muovono fiori che modellandosi in doppie versioni magiche e simmetriche ed angolari diventano adesso ombelichi e facce animalesche, bocche appuntite di piante carnivore, mani che si appiccicano in un applauso chiuso, foglie che gocciolano rugiada, soli che nascono. Tutto è in assenza di gravità, fluttua nel brodo unicellulare primordiale, in attesa del Big Bang. I giochi di luce fluorescenti ingannano ed ammaliano. Ora, affascinanti anche le musiche suggestive ed a tratti gotiche e decadenti ma sempre elettroniche, sul panno la vita diviene crepuscolare, la luna si trasforma in occhi di pantera mentre i ballerini volteggiano sospesi su strutture semoventi, altalene e ganci e corde, nascoste alla vista del pubblico dal nero pece che li avvolge. I pianeti vorticano e sembra che l’inchiostro mefistofelico si allarghi a macchia d’olio sulla luce che donano ed esprimono i corpi per metà illuminati in un constante crescere e decrescere, in un gioco di ying e yang che si rincorrono come il sole e la luna. “La luna insegue sempre il giorno. Ed il giorno verrà”. I ginnasti volano come Peter Pan, sono ectoplasmi e insetti e cellule e spermatozoi. Sul sipario di tulle si disegnano farfalle, babbuini scontrosi e polmoni ansanti da ecografia, costole scheletriche e casse toraciche capienti. Poi ancora fiori: grotteschi dai petali rigogliosi. Si cerca e si aspetta la Primavera. Passano le Quattro stagioni, ci inginocchiamo all’idea di Botticelli. Il mondo è un bosco lugubre dove si animano nebbie depresse e fate languide e magie sospese, una foresta incantata con elfi dove si muovono anche esseri incappucciati a metà strada tra Puffi, esponenti del Klu Klux Klan e meduse iperboliche che diventano gobbe diaboliche e granchi tentacolari micidiali e guerriglieri che danzano in una lotta strenua e mortale. Il sonoro è ora cupo e noir e dark, ora sfacciatamente new age e densamente onirico. La creazione si è placata, i segni Maya si traspongono in pipistrelli quasi Maori, poi si espandono in ali rassicuranti di gabbiani candidi in una ricerca spasmodica di congiunture perfettamente geometriche: una manta morbida in un mare astratto e merli di castello con sentori disneyani di “Fantasia” o carrolliani al sapore di “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Un caleidoscopio che attira e respinge, che dà e toglie, che mostra e nasconde, disegni e segnali, graffi e pennellature, sovrapposizioni circensi ed elisioni acrobatiche fino alla Linea viola finale stile Lagostina. Piece dannatamente faustiana.

Voto 8 

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