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Tahar Ben Jelloun
Il libro del buio
Torino, Einaudi, 2001; pp. 208
Un lancinante romanzo di dolore e tenebre

 




                     di Paolo Boschi


Il libro del buio
Stelle velate


S'intitola Il libro del buio l'ultima prova letteraria di Tahar Ben Jelloun, nato a Fès, in Marocco, nel 1944 e residente a Parigi dal 1971, uno degli scrittori nordafricani più autorevoli. Questo romanzo sulla prigionia e sul dolore è ispirato ad un fatto realmente accaduto: il 10 luglio 1971 un gruppo di militari tentarono (molti ignorando l'obiettivo della missione in corso) un colpo di stato facendo irruzione nella residenza estiva del re del Marocco a Skhirate. Il golpe non riuscì, ed i soldati che vi presero parte furono sepolti vivi nelle tenebre perpetue della prigione di Tazmamart per diciotto lunghi anni. Non a caso Tahar Ben Jelloun ha dedicato Il libro del buio all'ex detenuto sulla cui testimonianza il romanzo è ispirato, un romanzo che prende spunto da una delle pagine più tragiche e crudeli della storia marocchina recente per denunciarne il colpevole oblio - non a caso l'impegno politico e civile è una delle costanti dell'opera di Ben Jelloun - ma, allo stesso tempo, capace di ritrovare la pura e vera essenza dell'umanità in condizioni estreme di sopravvivenza. La storia il lettore la scopre à rebours seguendo i pensieri della voce narrante del romanzo, una voce che lo proietta in una prigione in mezzo al nulla, dentro un parallelebipedo completamente buio di tre metri per un metro e mezzo, d'altezza compresa tra un metro e mezzo ed un metro e sessanta centrimetri, una cella dove non si può camminare, immersa nell'oscurità ventiquattro ore su ventiquattro, che impedisce addirittura al detenuto di alzarsi in piedi, priva di un giaciglio, di acqua corrente e con servizi igienici sommari. I prigionieri non hanno nessun dottore a disposizione, non hanno diritto a medicinali, soltanto ad un immutabile quanto malsano menù a base di pane, acqua e legumi senza condimenti. Con lo scorrere delle pagine scopriamo che l'unica occasione per rivedere la luce consiste nel funerale di un compagno ucciso da condizioni di prigionia troppo estreme. La vita nell'inferno oscuro di Tazmamart è una non-vita che costringe gli uomini a sopravvivere azzerarando il proprio passato per non impazzire, a non cedere alla malinconia struggente ed insopportabile del ricordo di un'esistenza normale, ma al massimo ad isolare momenti frammentari di una vita passata e rievocarla, rivederla, come fosse quella di un estraneo. Scopriremo che la voce narrante de Il libro del buio appartiene a Salim che, nell'ambito del gruppo della sua tenebrosa camerata, riveste il ruolo del narratore di storie, 'rilette' nella memoria a beneficio dei compagni: Papa Goriot di Balzac, I Miserabili di Hugo, Lo straniero di Camus, film americani in bianco e nero degli anni Quaranta, poesie arabe e francesi, e novelle tratte da Le mille e una notte, paradossalmente proprio dal libro la cui lettura Salim aveva destinato al suo futuro strappato. E conosciamo i suoi compagni: Karim, l'uomo-orologio cui è affidato il compito di contare il tempo, l'"Ustad" Gharbi, ovvero il maestro che conosce il Corano a memoria, Wakrine, lo specialista in scorpioni, Achar, il malvagio del gruppo, e Larbi, il fumatore che si lascia morire di fame per l'insopportabile astinenza, perfino un cane-detenuto ribattezzato Kif Kif, l'uguale. Davvero intenso sotto il versante emotivo, Il libro del buio raggiunge inaudite (quanto rarefatte) cime espressive: una luminosa gemma d'umanità dalle tenebre del dolore.

Tahar Ben Jelloun, Il libro del buio, Torino, Einaudi, 2001; pp. 208

Voto 8 

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