La
capacità che contraddistingue Daniele
Silvestri nell’ambito del panorama musicale nazionale è forse la sua
attitudine a non mostrare imbarazzo alcuno nell’attingere in libertà ai propri
modelli di riferimento, non solo sul versante prettamente musicale, basti
ricordare come scelse di presentarsi a Sanremo qualche anno fa, utilizzando
cartelli a chiosa dei versi cantati, come aveva fatto Bob Dylan ere
geologiche fa. Ricontestualizzare con intelligenza, l’arte della citazione
originale: per quanto sembri un paradosso, è uno dei punti di forza di Daniele
Silvestri, uno che la buona musica l’ha frequentata da sempre ed ha
dimostrato a più riprese di saperne creare di propria, coniugando ottime
intuizioni strumentali a testi creativi ed originali. Se poi inserire i flauti
della mitica Alturas degli Intillimani ne Il mio nemico serve ad
ampliarne la forza descrittiva, ben venga, perché alla fine quel che conta è
che una canzone sia bella, che catturi a livello emotivo, che funzioni insomma,
e magari lasci in circolo anche qualche sano spunto di riflessione, piccole
bombe ideologiche a tempo, quali appunto i versi de Il mio nemico,
canzone segnata da un andamento latineggiante e da un testo arrabbiato e
pungente. D’altra parte tutta la tracklist è un susseguirsi di liete
sorprese citazionistiche: per esempio la ritmatissima disco della
trascinante apripista Salirò, brano vincitore del premio della critica a
Sanremo 2002,
indiscussa summa dell’album, colorata e surrealmente sentimentale al
tempo stesso; lo strano funky di Manifesto, altra canzone
bellamente ideologica del disco,
perfettamente in accordo con il titolo ed a tratti vagamente memore di Battiato; il
riuscito divertissement pseudo-pugliese di 1.000 euro al mese (uno
dei primi brani in cui compare la nuova moneta, peraltro); la delicatissima
atmosfera retrò de Il colore del mondo; l’atipica marcia della title
track, che shakera vari generi; in ambito citazionistico è d’obbligo
ricordare anche Mi interessa, punk rock non particolarmente
riuscito. Tra i brani più caratterizzanti dell’album,
tipicamente silvestriani diciamo, è da segnalare lo straniante bozzetto
suburbano de L’autostrada (seconda voce affidata a Simona Cavallari,
compagna dell’artista), la verbosa
leggerezza di Sempre di domenica, la mordace critica allo showbiz piazzata
in La classifica – tra l’altro il cantante romano, non troppo abituato
alla zona top ten, con Unò-Dué c’è puntualmente
finito –, l’ipnotica Dipendenza, l’eterea introspezione di Sabbia e
sandali (davvero intensa), ed
infine Di padre in figlio, splendida chiusa emotivamente coinvolgente,
ispirata dalla scomparsa del padre del cantautore, ma magicamente calzante con
la sopravveniente paternità di Silvestri. Un
album caotico ma stranamente coerente: Unò-Dué è un variopinto
agglomerato di generi che si succedono creando un piacevole effetto di
variazione, una tracklist di tredici canzoni di qualità nel complesso
notevole, sorrette da una felicità testuale talvolta addirittura sorprendente
per l’originalità di alcune intuizioni. Da non perdere.
Daniele Silvestri, Unò-Dué [Panama/Epic 2002]
Voto
8
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