Conosco un quattordicenne che
suona la chitarra come un dio e s’ispira soprattutto a Slash e Billie Joe Armstrong, i suoi numi tutelari delle sei corde.
Prima sentiva di tutto ma da un anno in qua si è messo ad ascoltare le pietre
miliari del rock e dintorni: il risultato è che adesso adora Jimmy Page,
pur continuando ad amare spassionatamente Billie Joe
Armstrong e i suoi Green Day, che dalla fine degli anni Ottanta ad oggi si sono in effetti meritati lo status di classico. A
conferma di questo basti ricordare che il trio composto da
Armstrong (voce e chitarra), Mike Dirnt (basso e
voce) e Tré Cool (batteria)
è stato citato addirittura in un succosissimo cameo di Simpsons -The movie, in
cui i tre musicisti s’immolavano nell’inquinatissimo
lago di Springfield quando, dopo un concerto gratuito di quattro ore, avevano
chiesto al pubblico cinque minuti di considerazioni ecologiche ricevendo un
perentorio rifiuto, corrosivo preludio ad una morte da… american idiot.
Dopo l’uscita dell’album omonimo, una vera e propria rock opera che ha reso i Green Day delle stelle di prima grandezza
in tutto il mondo, la band di Rodeo, California, ha deciso di prendersi una
salutare pausa di riflessione di un
lustro, da cui è sbocciato 21st
Century Breakdown, ancora una rock opera in
tre atti ("Heroes and Cons," "Charlatans and Saints," e "Horseshoes
and Handgrenades") che, lungo un viatico di
complessive diciotto tracce per settanta minuti circa, insegue le vicende di
una giovane coppia, Christian e Gloria, attraverso il caotico scenario
contemporaneo e le fuorvianti promesse del ventunesimo secolo. L’ottavo album
di studio dei Green Day, nato sotto l’egida produttiva di Butch
Vig (che si era occupato nientemeno che di Nevermind dei Nirvana),
mira dunque decisamente alto sul fronte tematico e non
è da meno sul versante musicale, proponendo un ulteriore passo avanti del trio
nell’ambito del loro radicato percorso a base di punk rock, l’alveo a cui ogni
canzone del disco finisce sempre per tornare, anche se tra un brano e l’altro
le citazioni si moltiplicano, tra Queen e Bruce Springsteen, Clash ed Beatles, Who e Beach Boys.
L’album prende avvio in chiave vintage con il preludio di Song of the century,
poi i Green Day partono a marce contenute con l’epica title track, un vero manifesto in cui Billie Joe celebra con graffiante
capacità autocritica (rapportandosi ad un classico lennoniano
di protesta che fu una loro cover)
la caduta del XXI secolo e il dissolvimento del sogno americano. A ruota Tré Cool ci porta a
tambur battente all’interno della dirompente Know Your Enemy, in cui i Green Day inneggiano alla
rivoluzione con l’irruenza che fu dei Clash e la ritrovata verve dei gloriosi tempi di Dookie.
E dopo arriva anche il delicatissimo attacco pianistico di Viva la gloria, che poi ci spiazza
sviluppandosi in un tiratissimo punk
rock. Lo stesso schema si ripete nella successiva Before the lobotomy, dinamica ma solare,
seguita dall’ombrosa atmosfera di Christian's Inferno,
ossessiva e punkeggiante, seguita dalle sonorità beatlesiane della splendida Last night on Earth, in cui Billie Joe ci stupisce sfoggiando un inedito falsetto. Il
secondo atto dell’album brucia le polveri con il contagioso riff della strepitosa
East Jesus nowhere, sulfurea per ritmo e caratterizzata da
testi a dir poco corrosivi. Dopo la vigorosa progressione in chiave punk rock di Peacemaker, Last of the
American girls e Murder City, arriva Little Girl,
canzone a due anime e fuori dal tempo, marcata da una vera e propria dicotomia
ritmica, esattamente come la successiva Restless heart syndrome,
caratterizzata da un attacco dolce e malinconico, poi sviluppata con
un’insostenibile progressione. Il terzo atto si apre con l’energia punk di Horseshoes and handgrenades
e la springsteniana The static age,
poi prosegue con la splendida 21 guns, un’
American eulogy in due parti e la conclusiva See the light per chiudere il discorso. Ma avvertirete l’irresistibile impulso a ripartire
dall’inizio, questo è certo.
Green Day, 21st Century Breakdown [Reprise 2009]
Voto
8