A bene e consumo di chi ignora
la genesi dei Gorillaz,
ricorderemo come
all'inizio del 2001 l'irresistibile singolo Clint Eastwood spuntò dal nulla
iniziando a scalare le classifiche. Autori dell'exploit i Gorillaz, appunto,
una band 'virtuale' che, dietro lo schermo delle
immagini animate dal cartoonist britannico Jamie Hewlett, nascondeva il produttore e DJ Dan The
Automator nonché il cantante e compositore Damon Albarn,
in libera uscita dai suoi Blur in crisi di idee.
Il coloratissimo concetto visivo di supporto
al gruppo (videoclip e progetti multimediali vari) si associa a meraviglia alla
sua felicissima mescolanza di pop, elettronica e hip-hop. Il risultato è che
quattro anni dopo il progetto sta sempre in piedi anche se
in cabina di produzione Dan The Automator ha lasciato
la sua sedia a Danger Mouse, noto per l'assemblamento 'illegale' del Grey
album, miscela del “White album” beatlesiano col Black album di Jay-Z. L'opera
seconda gorillaziana, che già nel titolo ammicca il
suo cantante latente, può contare su un nutrito stuolo di ospiti di qualità: Neneh Cherry, Ike Turner (già
consorte di Tina), i De La Soul,
il London Community Gospel Choir, Roots
Manuva, Shaun Ryder (già negli Happy Mondays) e
l'attore Dennis Hopper, che appunto recita in Fire coming out
of a monkey's head. Nella ricca tracklist
corre l'obbligo di segnalare almeno l'avvolgente Last living souls, i singoli Fell Good Inc. e Dare, intriganti
quanto contagiosi, ed infine due canzoni tipicamente bluriane
come Green world e El
manana. Dopo Clint Eastwood qui non poteva mancare
neppure Dirty Harry, con tanto di cori bianchi stile
Pink Floyd annacquati nell'hip-hop. Il gruppo virtuale
di Albarn & Co. ha colpito ancora con un disco
delizioso e fresco come quello del fortunato esordio.
Gorillaz, Demon Days [Emi 2005]
Voto
8