Teatro Studio di Scandicci, Diversamente Parlando, stagione 2007
Scena Verticale, Dissonorata, 2007
Motus, Rumore rosa, 2007
Studio Su Medea, regia di Antonio Latella, 2007, presentazione
Studio Su Medea, regia di Antonio Latella, 2007, recensione
Gogmagog & The Playground, The Restaurant of Many Orders, 2007, presentazione
Gogmagog & The Playground, Ristorante dai tanti ordini, 2007, recensione
Giampiero Cicciò, Giovanna d’Arco di Borgo vecchio, di Gianni Guardigli, 2007
Compagnia Krypton, Picchì mi guardi si tu si masculu, 2007
Egumteatro, L’omossessuale o la difficolta’ di esprimersi, 2006
Il Teatro Studio è trasformato in
un vero e proprio ristorante. Il numerino all’entrata
come dal salumiere, il portabiti, il posto assegnato, posate, piatti, bicchieri
e tovaglie bianche, musica soft da piano bar. Per i Gogmagog,
come per i Sotterraneo per Intercity Toronto,
lavorare con un regista esterno alla compagnia, e per giunta straniero, ha
migliorato e affinato le abilità del duetto. Una magistrale prova per i due di Scandicci.
Entrano in sella ad un’ape e ricordano Nanni Moretti
in groppa alla sua mitica vespa bianca in “Caro Diario” o la coppia Benigni-
Monni in bicicletta in “Berlinguer ti voglio bene”. Tommaso
Taddei, tirato a lucido, eccentrico con piglio
fresco, è in perfetto stile “Arancia meccanica”, lo sguardo allucinato, le
movenze scattose, il passo da tacchino nell’aia-
ballerino improvvisato sulle punte che cammina come Pantalone tra l’ossequioso
e il viscido. In faccia due maschere della Commedia dell’Arte
pinocchiesche, con tute arancioni
da Abu Ghraib. Taddei e Carlo Salvador, spalla ideale per le peripezie
fisiche del biondo, sono grotteschi e violenti e
stralunati, pazzi da legare con gli occhi da “Shining”,
emarginati border line. La scena iniziale del mercato
ambulante, ora sono vu cumprà ora venditori televisivi (ma in fondo c’è vera differenza?) è esilarante e
tira fuori il meglio del comico surreale che i Gog
hanno sempre avuto nel loro dna artistico. Hanno voci nasali e movimenti
burattineschi scollegati, articolazioni senza cartilagine, quasi elettrificati
da scosse manicomiali. Intanto le ballerine servono il vino agli avventori con i
tavoli che circoscrivono lo spazio-arena, pronta per la mattanza-corrida-tonnara, dove si muove l’azione.
La Fame inganna
come Morgana, la fame è l’inganno. Il cannibalismo espone
le sue armi, presenta il suo carnet. I bigliettini, da caccia al tesoro
o biscotti portafortuna cinesi, contengono gli ordini impartiti ai due
allocchi. Sono servi assoggettati e prostrati nel fisico e nella mente. Come si
abbatte un popolo? Non con le armi ma con l’indigenza prolungata. Si spalmano addosso lo yogurt, “Ronald el pajaso de Mac
Donald” di Rodrigo Garcia, l’aceto
sui capelli antipidocchi, la farina. Lo Studio si riempie di odori:
il rivolo di vino al centro sul pavimento scuro, l’acre e pungente dell’aceto,
la scena scivolosa da Comiche involontarie. Le due ballerine aguzzine e
torturatrici sono un po’
legnose mentre giocano al gatto col topo, sono Vergini di Norimberga della Santa
Inquisizione, angeli demoniaci, Thelma e Louise con un odio
profondo contro il maschio. Li inseguono al piano superiore, li frollano, li
massacrano in una sala regia illuminata a cono. Il grottesco vira nel finale in
un concerto che non ha niente di ironico, molto freddo
e pulp, con riferimenti troppo tangibili e espliciti: gli uomini tirati con il
guinzaglio, l’interrogatorio, “Le iene” di Tarantino,
sulla sedia girevole, la faccia di bacon, davvero rivoltante, tagliata in
diretta e servita. Fino alla cascata di vino sangue.
Voto
7 ½