La fine di Shavuoth, 2010
I capitoli del crollo, Volume primo: Tre fratelli, 2010
L’Italia s’è desta, 2010
Frankenstein ossia il Prometeo moderno, 2009
La Gabbia III, 2008
Donna non rieducabile, anteprima, 2007
L’odore assordante del bianco, recensione, 2007
Stefano Massini,
Scanner intervista il regista fiorentino, 2007
L’odore assordante del bianco, scritto e diretto da Stefano Massini, 2007
Muro di silenzio, diretto da Stefano Massini, 2005
Norma 44, di dacia Maraini, diretto da Stefano Massini, 2004
La Gabbia, diretto da Stefano Massini
Non chiamatelo mostro il “Frankenstein”
di Stefano Massini. E’ soprattutto una creatura. Non è
un aborto, ma è vita nata dalla morte. E’ l’uomo (questo è anche un
intelligente omaggio a Galileo
senza stereotipate messinscena) che costruisce la Torre di Babele per
avvicinarsi il più possibile a Dio, per scardinarlo, sradicarlo dalle nuvole,
prenderne il sopravvento. E’ il riflesso di un uomo che come Icaro vuole
sapere, conoscere, andare per vie sconosciute e irrisolte, è un nuovo Prometeo
(come nel sottotitolo ripreso da Mary Shelley)
intento nella produzione del suo yeti, nella fabbricazione del Golem che
spazzerà via la parola morte dal Creato, è Faust, è l’Anticristo. La creatura è
tutt’al più un freak nella sua maschera- testa
gigantesca di fondo cui presta voce e fattezze, riprodotte e sovrapposte al
computer, di Sandro Lombardi,
un immenso volto che guarda e scruta. Per pavimento un libro aperto e
sfogliato, la vita-processo, sempre in movimento, un work in progress
modificabile, costruita grazie alle piccole infinite inezie della vita, le
azioni insignificanti delle vite che passano, che sembrano fiocchi di neve che,
sciogliendosi si solidificano e si stratificano, andando
a sommarsi imprescindibili, necessari e silenziosi. Che cosa siamo in fondo?
“Un minuscolo millimetro di neve”. Dalla botola centrale si nasce e si muore; è
una vagina rossa che porta la vita, è il camposanto che accoglie la bara, è
l’ingresso e la fine, l’inizio e la discesa, un parto e la dipartita. Le tinte
sono fosche, cupe, al limite del gotico. Il mostro ha
una forte carica intimista e interiore, sembra schiacciato dal peso della
responsabilità che si porta appresso attraverso questa nuova vita che gli è
stata concessa, “Non ti ho chiesto io di farmi vivere”, e che non vorrebbe
percorrere. Non sa chi è e maledice il suo creatore che si è sostituito a Dio
donandogli un’altra possibilità senza quei tratti comuni, quelle sembianze terrene
per poter esprimere la sua umanità senza cadere nel
ridicolo da fenomeno da baraccone, scimmiottando King Kong.
Questa ricerca al superamento dei limiti umani è al contempo anche la sconfitta
umana resa, proprio quando arriva il successo e la creazione del Frankenstein
mosaico-puzzle e patchwork diviene reale e tangibile, opera inaffidabile e
inanimata di vita seppur dotata di azione e pensiero ma mancante della polvere
di stelle, del friabile del quale è composta l’esistenza, dell’astratto, a
tratti inconcepibile e assurdo, che compone una vita, che esistere è soltanto
un lontano parente del vivere, poiché proprio thanatos
dona quell’“epilogo senza il quale niente avrebbe senso”. E il giovane
scienziato Victor ne capisce il fallimento totale trovandosi di fronte alla sua
opera ultima. Non ci si può sostituire al divino, alla Natura, sono un fallimento l’accanimento terapeutico (invocato da
Massini anche nella sua “Gabbia
III”), è una mattanza la clonazione, la resurrezione lasciamola alla
Pasqua. Un appunto: perché il corpo esanime sul lettino da anatomia assomiglia
incredibilmente all’alieno ritrovato nell’Area 51? Prova
di sostanza di Daniele Bonaiuti, “caravaggesco”,
impetuoso e solido, rispondono “presente” anche
Amerigo Fontani e Luisa Cattaneo. Il manipolo
d’attori è ben affiatato, coeso e teso in un unico respiro.
Voto
8