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  25/04/2024 - 15:08

 

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Scanner - live
 


Stefano Massini
Scanner intervista il regista fiorentino
Il teatro ha bisogno di meno arie, meno spocchia, più artigianato
Che debutta con l’Odore assordante bianco dal 13 al 25 febbraio 2007 al Teatro Fabbricone di Prato

 




                     di Tommaso Chimenti


La fine di Shavuoth, 2010
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La Gabbia III, 2008
Donna non rieducabile, anteprima, 2007
L’odore assordante del bianco, recensione, 2007
Stefano Massini, Scanner intervista il regista fiorentino, 2007
L’odore assordante del bianco, scritto e diretto da Stefano Massini, 2007
Muro di silenzio, diretto da Stefano Massini, 2005
Norma 44, di dacia Maraini, diretto da Stefano Massini, 2004
La Gabbia, diretto da Stefano Massini


Dopo due mesi di prove debutta (dal 13 al 25 al Fabbricone) l’attesa produzione del Metastasio, “L’odore assordante del bianco”, testo del giovane autore e regista fiorentino Stefano Massini. “Il teatro ha bisogno di meno arie, meno spocchia, più artigianato”. E così si presenta. Pane al pane e vino al vino. Diretto, sincero, sorridente. “Da quando ho vinto il Premio Tondelli – spiega il talento cresciuto al Teatro di Rifredi, cappellino e sciarpa rossa – (nel 2005) è stato tutto un susseguirsi di sorprese. Quando l’ho scritto non ci avrei scommesso una cicca, sensazione che ho provato anche dopo aver ultimato “Processo a Dio” (attualmente sulle scene con Ottavia Piccolo) che sta sbancando in ogni teatro”. Ricorda la telefonata avuta con Franco Quadri che gli confermava che aveva vinto il Premio Riccione. “Gli ho risposto: “E io sono Paperino”, ed ho riagganciato”. E’ un fiume in piena di schiettezza e genuinità, ha lo sguardo sereno di chi sa dove vuole arrivare, di chi guarda lontano oltre l’oggi. Il suo soprannome è Stakanov. Ed è facile capire il perché. Un perfezionista sempre alla ricerca di quel quid di astratto e forse irraggiungibile. I suoi testi sono stati recentemente pubblicati dalla Ubulibri, con prefazione di Quadri, e già tradotti in svedese e portoghese. La piece sarà a Prato per due settimane, poi a marzo, prima al Teatro Nuovo di Napoli (9-18) e Roma, all’India (21-25). “Scrivo sempre per urgenza – racconta l’ex assistente di Ronconi – per far affiorare zone d’ombra, per necessità interiore, per liberarmi. Qui non volevo tanto mettere in scena la follia (“La pecora nera” di Ascanio Celestini) quanto l’impossibilità di un uomo di potersi esprimere. Vincent Van Gogh internato nel sud della Francia circondato dal bianco e senza i suoi colori per descrivere il suo mondo”. Il titolo è affascinante, ad effetto: “Questa sinestesia non voleva essere un vezzo letterario ma rappresentare la mancanza di controllo delle sensazioni”. Sui tredici metri di boccascena si muoveranno Mauro Malinverno nelle vesti del pittore fiammingo con i capelli arancioni sparati in aria: “E’ viscerale, è terra, ha una tensione continua, è elettrico, vulcanico”. Al suo fianco Antonio Fazzini, il fratello Theo, l’alter ego, il negativo: “Il suo personaggio è più calmo e placido, posato, una camomilla in forma umana”. Poi il primario del manicomio, Fernando Maraghini, di recente in “Cantiere Disperazione”. Si parla di arte ma anche di psicanalisi. La scena si svolge in una corsia di un manicomio, una stanza gigantesca con portoni di ferro, contenimento e violenze, varie forme di cura come la vasca (Alda Merini o Dino Campana). Artista e follia spesso vanno a braccetto: “Spesso si ha una visione dadaista della follia, ma la cosa spiazzante è che non sia così visionaria ma purtroppo lucida”.

Voto 8 

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