La fine di Shavuoth, 2010
I capitoli del crollo, Volume primo: Tre fratelli, 2010
L’Italia s’è desta, 2010
Frankenstein ossia il Prometeo moderno, 2009
La Gabbia III, 2008
Donna non rieducabile, anteprima, 2007
L’odore assordante del bianco, recensione, 2007
Stefano Massini,
Scanner intervista il regista fiorentino, 2007
L’odore assordante del bianco, scritto e diretto da Stefano Massini, 2007
Muro di silenzio, diretto da Stefano Massini, 2005
Norma 44, di dacia Maraini, diretto da Stefano Massini, 2004
La Gabbia, diretto da Stefano Massini
Dopo due mesi di prove debutta (dal 13 al 25 al Fabbricone) l’attesa produzione del Metastasio,
“L’odore assordante del bianco”, testo del giovane autore e regista fiorentino Stefano
Massini. “Il teatro ha bisogno di meno arie, meno spocchia, più
artigianato”. E così si presenta. Pane al pane e vino al vino. Diretto,
sincero, sorridente. “Da quando ho vinto il Premio Tondelli – spiega il talento
cresciuto al Teatro di Rifredi, cappellino e sciarpa rossa – (nel 2005) è stato
tutto un susseguirsi di sorprese. Quando l’ho scritto non ci avrei scommesso
una cicca, sensazione che ho provato anche dopo aver ultimato “Processo a Dio”
(attualmente sulle scene con Ottavia Piccolo) che sta sbancando in ogni
teatro”. Ricorda la telefonata avuta con Franco Quadri che gli confermava che
aveva vinto il Premio Riccione. “Gli ho risposto: “E io sono Paperino”, ed ho
riagganciato”. E’ un fiume in piena di schiettezza e genuinità, ha lo sguardo
sereno di chi sa dove vuole arrivare, di chi guarda lontano oltre l’oggi. Il
suo soprannome è Stakanov. Ed è facile capire il perché. Un perfezionista
sempre alla ricerca di quel quid di astratto e forse irraggiungibile. I suoi
testi sono stati recentemente pubblicati dalla Ubulibri,
con prefazione di Quadri, e già tradotti in svedese e portoghese. La piece sarà
a Prato per due settimane, poi a marzo, prima al Teatro Nuovo di Napoli (9-18)
e Roma, all’India (21-25). “Scrivo sempre per urgenza – racconta l’ex
assistente di Ronconi –
per far affiorare zone d’ombra, per necessità interiore, per liberarmi. Qui non
volevo tanto mettere in scena la follia (“La pecora nera” di Ascanio Celestini)
quanto l’impossibilità di un uomo di potersi esprimere. Vincent Van Gogh internato nel sud
della Francia circondato dal bianco e senza i suoi colori per descrivere il suo
mondo”. Il titolo è affascinante, ad effetto: “Questa sinestesia non voleva
essere un vezzo letterario ma rappresentare la mancanza di controllo delle
sensazioni”. Sui tredici metri di boccascena si muoveranno Mauro Malinverno
nelle vesti del pittore fiammingo con i capelli arancioni sparati in aria: “E’
viscerale, è terra, ha una tensione continua, è elettrico, vulcanico”. Al suo
fianco Antonio Fazzini, il fratello Theo, l’alter ego, il negativo: “Il suo
personaggio è più calmo e placido, posato, una camomilla in forma umana”. Poi
il primario del manicomio, Fernando Maraghini, di recente in “Cantiere
Disperazione”. Si parla di arte ma anche di psicanalisi. La scena si svolge
in una corsia di un manicomio, una stanza gigantesca con portoni di ferro,
contenimento e violenze, varie forme di cura come la vasca (Alda Merini o Dino Campana).
Artista e follia spesso vanno a braccetto: “Spesso si ha una visione dadaista
della follia, ma la cosa spiazzante è che non sia così visionaria ma purtroppo
lucida”.
Voto
8