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Stefano Massini
Donna non rieducabile
Con Luisa Cattaneo e Roberto Gioffrè
Un omaggio ad Anna Politkovskaja, il 6 e 7 ottobre 2007 al Teatro Manzoni di Calenzano

 




                     di Tommaso Chimenti


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Abbiamo assistito ad una prova del nuovo testo di Stefano Massini “Donna non rieducabile”, in scena, prima assoluta dopo le mise en espace estive, il 6 e 7 ottobre al Teatro Manzoni di Calenzano. Nella prossima stagione gireranno i suoi “Processo a Dio”, “Gabbia I”, la novità “Gabbia II” e la ripresa dell’“Odore assordante del bianco” targato Metastasio. Come a suo tempo Massini fece le fortune del Teatro di Rifredi (che il 6 ottobre gli ha però contrapposto Nicola Piovani) adesso sta portando all’attenzione nazionale il piccolo di Calenzano del Teatro delle Donne di Cristina Ghelli. Quel che tocca Massini-Mida brilla perché alla base c’è lavoro, impegno e sofferenza artistica. L’ultimo nato nella lunga collezione del giovane autore fiorentino (da pochi giorni ha compiuto i fatidici 33) è un omaggio ad Anna Politkovskaja, (Adelphi ne ha pubblicato i diari) la giornalista russa del “Novaya Gazeta” uccisa per le sue indagini (Carmine Pecorelli, Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Peppino Impastato) sullo sterminio ceceno. Nome impronunciabile ma ideali chiari e lampanti. Della nuova opera Luca Ronconi ne è entusiasta, la Ubu Libri la pubblicherà a breve. Sulla scena la musa Luisa Cattaneo e Roberto Gioffrè. Massini fa rumore, divide. La scelta di campo è ancora più dolorosa: se Anna Frank o Memorie del Boia da Balzac o la follia di Van Gogh erano databili e ricollocabili in ambiti e spazi temporali relegati alla Storia e non alla cronaca, questo “Donna non rieducabile” si affianca a “Prima dell’alba” (Amanda Sandrelli) ma con in più la forza e la necessità dell’oggi (il 7 ottobre è l’anniversario dell’uccisione della reporter) di dare un volto ed un nome alla libertà, alla sua ricerca, connotati a chi non è eroe ma è uomo e misura la propria esistenza sulla qualità della vita degli altri, a chi ancora si indigna aprendo i quotidiani o accendendo la tv trovandoci soltanto Miss Italia, Paris Hilton o corsi di cucina e decide che forse respiriamo per altro. La Cecenia è un cadavere impacchettato ed avvolto in un lenzuolo, neve o polvere o disinformazione legalizzata, infilato e sepolto nel buco del mondo. Tutti chiudono gli occhi. Dov’è la comunità internazionale? Lo zapping colorato impazzito della fiction rendono il Garage Olimpo sovietico ancora più paralizzante con tanti dead man walking. La bacinella d’acqua purificante diviene fuoco sterilizzante della pulizia etnica. Ogni parola rafforza i gesti autoalimentando la sintesi tra l’autore ed il regista. L’ansia e l’agonia aumentano tra sangue e neve. I ceceni siamo noi, e siamo anche gli afgani e gli iracheni. Massini come Pavese o Fenoglio. La Cattaneo e Gioffrè si alternano, donano atmosfere, le musiche sono riprese dalla tradizione cecena (tranne uno straziante Bregovic finale), canti di sirene, lamenti. Tutto è un dominio del bianco e del nero con stralci da Andy Warhol di rosso. Nelle parole di Massini non patetismo ma cronaca feroce e cruda (l’attentato suicida al Teatro Na Dubrovke a Mosca, Beslan) su questo eccidio senza fine che ricorda i Balcani, il Ruanda di Hutu ed Tutsi, l’Olocausto, la Palestina. A Grozny non c’è acqua, né cibo, né energia elettrica, non ci sono strade, c’è il coprifuoco e le donne vengono stuprate. Non c’è pace. E qui da noi ancora prendiamo gli aperitivi, ci indebitiamo per un telefonino o per le vacanze a Porto Cervo. Guardiamo ancora i musical.

Voto 8 

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