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Torino Film Festival
20° Cinema Giovani
Una grande manifestazione che sa rinnovarsi con intelligenza
Torino, Lingotto 7/15 novembre 2002

 




                     di Matteo Merli


Torino Film Festival 2002
Torino Film Festival 2001


Quando arriva Novembre è bello sapere che c'è il Torino Film Festival, una manifestazione che in pochi anni ha saputo raccogliere intorno a sé la stima dei critici e una affluenza massiccia di spettatori, pronti a cogliere ogni stimolo del programma, che come ogni anno è pieno di proposte. Quello che ci dispiace è la nuova locazione del festival, che si è spostato al Multiplex Pathé, composto da 11 sale, e che si trova dentro al Lingotto, che sicuramente ha giovato alla crescita della manifestazione, e della qualità del servizio, ma dall'altro canto quando si esce dal cinema, lo spettatore si trova in balia del traffico umano che si accoda nei negozi che circondano la struttura, svilendo l'atmosfera festivaliera, con annesso problema che comunque ti trovi ingabbiato all'interno di questo enorme edificio, senza poter uscire e ammirare le strade del centro, purtroppo distante. C'è ancora qualcosa da aggiustare per quanto riguarda l'organizzazione dell'ingresso nelle sale, e per i buchi lasciati vuoti nella programmazione giornaliera; speriamo per una pronta risposta il prossimo anno. Guardando il programma, possiamo riscontrare che la sezione Americana di quest'anno delude, perché mancano titoli di film che si potevano collocare nel palinsesto ( vedi per esempio Autofocus di Paul Schrader ), anche se la mini personale a Larry Fessenden è stata un'ottima idea. Orizzonte Europa certamente incuriosisce ma non entusiasma, mentre quella Nipponica è sicuramente di livello superiore a quella del passato. Passando alle pellicole, uno dei film che ha colpito il pubblico è certamente Marie-Jo et ses deux amours del regista Robert Guédiguian, che vede al centro della storia Marie una donna di mezza età divisa dall'amore che prova per suo marito e per un altro uomo, che la porterà a scelte dolorose. L'abile regia di Guédiguian costruisce un sortilegio melodrammatico di rara intensità di scrittura che si adagia sui corpi infiammati dei personaggi, capaci di interagire con il testo in maniera perfetta, e di riflesso l'opera colpisce lo spettatore. Altro gradito momento riguarda la presentazione ancora in fase di restauro da parte della cineteca di Monaco, de Il grande silenzio uno dei tre western più famosi firmati da Sergio Corbucci. In un villaggio di montagna isolato dalla neve agiscono un gruppo di banditi resi tali da un usuraio e preda di un feroce cacciatore di taglie ( un memorabile Klaus Kinski ). Da lontano arriva un killer muto ( Jean Louis Trintignant ) assoldato da una donna del posto per vendicarsi dei mali che suo marito ha subito. Western anarchico per la sua formazione dichiaratamente eversiva che sfocia in un finale efferato ( si è potuto vedere anche un finale diverso, addolcito per il mercato giapponese ) che rimane impresso nella memoria. Corbucci realizza una delle pellicole più belle del genere, affidandosi ad una narrazione stilizzata pregna di violenza e sangue che si innesta nella visione pop dello spaghetti western, calibrato sui volti giusti degli interpreti, che rendono questa pellicola un cult amato da molti appassionati di cinema. Di Larry Fessenden, ho potuto vedere Wendigo la sua ultima pellicola. L'opera inizia con una famiglia newyorkese che si trova tra le nevi selvagge della montagna, per passare un rilassante week-end., quando un inaspettato scontro con un cervo li terrorizza, e oltretutto si imbattono in tre cacciatori poco ospitali e dai modi rudi. Da questo momento la famiglia sarà scossa da strane sensazioni. La presenza dello spirito affamato della foresta, il Wendigo, farà precipitare la situazione in un baratro oscuro. Lo stile di Fessenden si muove sulle direttive di un cinema degli anni sessanta pronto a svelare le dinamiche dei personaggi a livello emotivo, con uno sguardo attento ai tre componenti della famiglia, che dietro la patina borghese nascondono un disagio esistenziale che solo il bambino percepisce ( l'occhio del regista ). Un film visivamente accattivante e demodé da recuperare in fretta, come tutto il resto della filmografia di questo enfant prodige del cinema americano. Un'altra bella sorpresa arriva dal film giapponese The Princess Blade di Shinsuke Sato, che ci catapulta in un paese del futuro, in un cui una casta di killer assoldati in un primo momento dal governo, si trovano senza alcun appoggio politico, diventando in breve tempo dei mercenari assassini. In mezzo a loro c'è la nobile ascendente di questa casta, che rendendosi conto del suo ruolo, si deve scontrare con la sete di potere del capobanda. In questa estenuante lotta, la principessa troverà rifugio in una casa di un giovane terrorista anti-governativo, entrambi infelici condivideranno alcuni momenti insieme, alimentando un possibile sogno di libertà. In questa pellicola action coreografata dal grande Donnie Yen, si legge un pessimismo cosmico che acceca e stordisce e solo l'uso delle spade è l'unico motivo di sopravvivenza, in un mondo dove non c'è posto per la speranza….per un film campioni d'incassi in Giappone non è niente male. Poi che dire, c'era anche la bellissima personale a John Milius, corredato da uno splendido volume da non perdere, e da film da recuperare subito come: Conan il barbaro, Un mercoledì da leoni, per citarne alcuni, e per finire bisogna ricordare la rassegna Un'altra Europa che fa parte del programma di Orizzonti Europa, e che quest'anno getta uno sguardo su alcune pellicole horror della Hammer, e qui gli amanti del genere e non solo si sono visti delle vere chicche. Alla fine di questi giorni, il festival di Torino rimarrà impresso nella memoria come una grande manifestazione che sa rinnovarsi con intelligenza, stimolando il pensiero critico dei giovani spettatori che affollano le sale, e speriamo che continui così.

Voto 7 + 

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