The Mexican
The Ring
Rango
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Denunciare l’imperialismo cinematografico (e non solo, come è ovvio) degli Stati Uniti nei confronti degli altri paesi è giusto e legittimo. La pratica dei remake in questi ultimi anni sta giungendo a livelli esasperanti. Tuttavia questo non deve poi condizionare la visione di un film, un buonissimo film come nel caso di questo The Ring.
Frutto di un doppio travaso (romanzo
Ringu di Koji Suzuki che nel 1998 è diventato film di culto in Giappone con un
seguito e un prequel, ovvero sia Ringu 2 e Ringu 0 – i primi due
per la regia di Hideo
Nakata, il prequel diretto invece da Norio Tsuruta), questo horror si
posiziona parecchi gradini al di sopra di prodotti dello stesso genere per
almeno due buone ragioni: la prima è che rinuncia del tutto all’ironia
autoreferenziale, che da Scream
in poi pare diventata d’obbligo; la seconda è che fa davvero paura. Il
soggetto muove dalla leggenda di una videocassetta che ha il potere di uccidere
misteriosamente, dopo esattamente sette giorni, colui che la guarda. Rachel
Keller (Naomi
Watts), la cui nipote è morta in questo modo - di paura, hanno concluso i
dottori - nel tentativo di risalire
all’origine di questa maledizione, si ritrova lei stessa a guardare la
cassetta, e così l’ex-marito Noah (Martin Henderson) e il loro piccolo figlio
Aidan (David Dorfman). Rachel si mette allora sulle tracce di Anna Morgan una
donna ormai morta – la si vede nella cassetta - che viveva su un’isola
allevando cavalli insieme al marito, fino a quando i cavalli non sono stati
sterminati da un male misterioso. Ma solo durante la seconda parte del film veniamo a conoscenza
con Samara, la vera terrificante protagonista di questo incubo. Cosa vuole
Samara? Solo essere ascoltata…
L’impatto fortissimo della
storia, che cattura a partire dalla prima sequenza, è rafforzato dalla
fotografia raggelante di Bojan Bazelli – un po’ troppo preziosa e pretenziosa
nelle fasi del film non propriamente horror - e dalla sceneggiatura di Ehren
Kruger (Trappola criminale, Scream 3), abile nel tradurre e
riadattare il prodotto ai palati americani ma senza incorrere in quello che è
forse l’errore maggiore e più grossolano della maggior parte dei film
hollywoodiani: quello di spiegare tutto, fino alla nausea. Alla fine il senso
complessivo è chiaro, ma moltissimi dettagli restano privi di una risposta
razionale, come è giusto che avvenga per quelli che comunemente definiamo
“fenomeni paranormali”. Si avverte realmente una presenza malefica che pervade
l’intera pellicola, un male che per buona parte del film non ha volto e che
persino quando lo assume non sembra esaurirsi in esso: perché la natura del
male è sfuggente e liquida, lo ha capito molto bene Hideo Nakata, autore
dell’originale
giapponese, riproponendo questa intuizione quattro anni dopo in Dark
Water. The
Ring, in effetti, si presta a diverse letture, a diversi livelli e
questo è un altro elemento che lo impreziosisce: non è facile infatti che l’aggettivo
“stratificato” possa essere calzante per un horror. La sua valenza metaforica è
evidente spazia dalla comunicazione mediatica e l’interattivita, a una
riflessione, dolorosa e amara, sulla diversità e l’esclusione, sulla solitudine
di certi bambini e la follia di certe madri che “non sono fatte per avere dei
figli”, come spiega a Rachel il marito di Anna Morgan, e che in questo caso –
letteralmente – generano mostri. Lo stesso titolo, “l’anello” (ma qui sarebbe
più corretto “il cerchio”) è un rebus dalle molteplici soluzioni,
immagine-simbolo che fa da filo conduttore in questo viaggio nell’oscurità acquosa
(come il fondo di un pozzo) dell’inconscio collettivo. Ma al di là di ciò The Ring è uno di
quei rari film in cui ci si può anche abbandonare al flusso della paura che,
una volta entrata in circolo, non fa che aumentare e non ci lascia mai
completamente, nemmeno a film concluso: alcune scene, come lo scoppio di follia
del cavallo sul battello o l’apparizione finale di Samara sono visivamente
indimenticabili.
Il film annovera, tra le case
produttrici, sia la Amblin di Spielberg che la Dreamworks di Lucas, il che
spiega, almeno sul lato tecnico, la perfetta riuscita del film. Gore Verbinski
aveva diretto precedentemente The Mexican (non un horror ma decisamente un orrore).
The Ring. Regia di Gore Verbinsky. Cast: Naomi Watts, Martin Henderson, David Dorfman, Brian Cox. Produzione: MacDonald/Parkes, Dreamworks, Amblin, BenderSpink. Distribuzione: UIP. Usa 2002, C, 115’
Voto
8