Il mestiere delle armi
Cantando dietro i paraventi
Centochiodi
Il sottotitolo dell’ultima fatica di Ermanno Olmi ci
avverte che assisteremo a “Li ultimi fatti d'arme dello illustrissimo Signor
Joanni da le Bande Nere”, espressione d’epoca dal sapore cronachistico, coniata
da Pietro Aretino ed ideale viatico per una vicenda
paradigmatica, la chiave di volta tra l’antica arte della guerra, basata
sugli scontri all’arma bianca e su uno stratificato codice d’onore, e la sua
successiva metamorfosi moderna, con l’introduzione delle armi da fuoco.
Protagonista de Il mestiere delle armi è il ventottenne capitano di
ventura Giovanni de’ Medici, capitano di ventura noto come Giovanni dalle Bande
Nere, comandante delle armate pontificie e nipote del papa Clemente VII:
Giovanni è un guerriero dal riconosciuto valore, temuto dai nemici e desiderato
dalle donne, un giovane uomo già divenuto leggenda per la sua indiscussa
abilità in combattimento. Nel novembre del 1526 Giovanni de’
Medici sta coordinando azioni di guerriglia a nord del Po nel tentativo di
contrastare la discesa verso Roma dei Lanzichenecchi dell’imperatore Carlo V,
guidati dal comandante Zorzo Frundsberg. A decidere la sorte della guerra e il
destino di Giovanni dalle Bande Nere saranno quattro falconetti, le nuovissime
bombarde a palla donate vilmente dal duca Alfonso d’Este al generale germanico:
colpito ad una gamba, il comandante pontificio si spegnerà a Mantova per
cancrena dopo quattro giorni di agonia, lasciando la giovane moglie ed un
figlio, sancendo con la propria morte l’inizio di una nuova era dell’arte della
guerra, più disumanizzata ed impersonale, rispetto al passato, in cui le bocche
da fuoco ridurranno sostanzialmente i margini bellici prima affidati alla
perizia individuale del guerriero. Dallo scontro in campo aperto le distanze
tra gli eserciti cominceranno ad allungarsi sempre più in rapporto al progresso
tecnologico delle armi, fino a rendere impossibile agli schieramenti il
rispettivo riconoscimento, tendenza tragicamente estremizzata dai conflitti
contemporanei. Con Il
mestiere delle armi Ermanno Olmi ha forse diretto il suo film più ambizioso, sicuramente il più
rigoroso, nato dopo due anni di ricerche documentaristiche ed impeccabile sotto
il profilo della ricostruzione storica. Il primo vero film ‘epico’ diretto da Olmi nella sua
lunga carriera non si limita a stigmatizzare gli effetti della trasformazione
tecnologica della guerra, ma offre una riflessione di grande intensità morale e
religiosa sulla morte, sul dolore, sul coraggio e sull’onore. A Cannes l’anno scorso Il
mestiere delle armi non suscitò grandi consensi, ma il cinema italiano
ha reso giustizia nel 2002 all’ultima fatica di Olmi, tributandole nove David di Donatello nelle
categorie principali su nove candidature, en plein che ha concesso alla
pellicola una seconda vita in sala.
Il mestiere delle armi, regia di Ermanno Olmi, con Hristo Jivkov, Sergio Grammatico, Dimitar Ratchkov, Dessy Tenekedjieva, Sandra Ceccarelli; storico/drammatico; Ita./Germ./Fran.; 2001; C.; dur. 1h e 45'
Voto
8