Il mestiere delle armi
Cantando dietro i paraventi
Centochiodi
Fa
un po’ tristezza pensare che questa, come pare, sarà l’ultima opera narrativa
del grande Ermanno
Olmi, che dopo Centochiodi ha
annunciato la volontà di tornare al documentario, il genere cui si era dedicato
in gioventù. È triste anche constatando l’estrema sintesi di freschezza ed
essenzialità che il vecchio maestro del cinema italiano mette in mostra nella
sua ultima fatica dietro alla macchina da presa, capace di coniugare
misticismo, senso della vita, mondo contadino, semplicità e messaggio
evangelico, il tutto non necessariamente nell’ordine. Centochiodi prende
avvio con una partenza da thriller,
in un’antica biblioteca dell’Università di Bologna, di mattina, dove, davanti
agli occhi di un esterefatto portiere, si distende una scena che pare l’opera
di un squilibrato, di un terrorista oppure di un fanatico religioso: decine di
antichi codici squadernati a terra o sui tavoli di lettura, tutti
immancabilmente inchiodati, senza nessun segno evidente di effrazione.
All’inizio delle indagini gli inquirenti brancolano nel buio, poi cominciano a
ricostruire i movimenti degli studenti e dei professori, finendo per
concentrarsi su un giovane docente universitario che pare essersi letteralmente
volatilizzato nel nulla. Olmi ci fa seguire in modo discreto e senza spiegarci
nulla i movimenti di costui, che lascia la sua bella macchina sotto un ponte
ferroviario, getta da un ponte i suoi effetti personali e comincia a camminare
lungo il Po, apparentemente senza meta, fino ad arrivare ad un piccolo casale
diroccato sulla riva del fiume, dove si stabilisce e comincia ad intrecciare
rapporti con i semplici abitanti della vicina comunità, molti dei quali
cominciano a chiamarlo Gesù Cristo per la sua naturale somiglianza al figlio di
Dio e per il suo modo pacato di raccontare passi biblici: sarà accolto con
spontaneità e concretamente aiutato da gente comune, tra cui una commessa del
forno locale – che assurge a simbolo della donna che porta il pane agli altri,
e dunque la vita –, un ex muratore che fa il postino saltuario – colui che lo
aiuta a costruirsi un riparo, dandogli una mano a ristrutturare la casa
diroccata – ed un manipolo di vecchi frequentatori del fiume, tra cui una
poetessa e un ritardato, che trovano la felicità dello stare insieme davanti ad
un bicchiere di vino. Con Centochiodi l’autore di Cantando dietro i
paraventi e La leggenda del santo bevitore ci ha racconta una
bellissima e composta allegoria del senso della vita, una fotografia che
tratteggia in toni elegiaci la vita contemporanea mostrandoci in tralice quello
che potrebbe essere e quanto di quello che abbiamo perduto del passato dovremmo
cercare di far riemergere, cominciando dalle relazioni sociali, perché il senso
della comunità è nel contatto umano: una stretta di mano, sedersi insieme
intorno ad un tavolo, aiutarsi e sostenersi reciprocamente, ballare. Tra una
parabola biblica e l’altra Olmi ci regala anche un aforisma decisivo: “Tutti i
libri del mondo non valgono un caffè con un amico”. Nel cast brilla un Raz
Degan insolitamente intenso e composto. Da non perdere.
Centochiodi, regia di Ermanno Olmi, con Raz Degan, Luna Bendandi; drammatico; Italia; 2006; C.; dur. 1h e 30’
Voto
8