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  24/04/2024 - 06:49

 

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Scanner - musica
 


Corey Harris & Henry Butler
Vu-du menz
[Alligator 2000]

 




                     di Paolo Boschi


Alle radici del blues c'erano fondamentalmente tre cose: sterminati campi di cotone, passioni represse da tirar fuori, sudore e fatica (che fanno un tutt'uno). E gli strumenti per accompagnare il relativo sound, va da sé, erano essenzialmente i più semplici da reperire: un banjo, una chitarra scordata e magari un vecchio piano accordato alla meno peggio. E' il blues, un mito musicale ed un modo d'intendere la vita al ritmo di 12 battute nato a fine Ottocento tra i campi, nelle baracche degli schiavi, per le strade polverose o in maleodoranti bettole per coloured, perchè il blues è prima di tutto un'espressione di pelle, di razza e possibilmente non dominante, per sfortuna di chi soffrì discriminazioni in passato e per fortuna di chi gode ancora oggi delle struggenti, contagiose, irresistibili melodie che solo i classici del genere sanno ancora assicurare. Ai numi tutelari del settore - vedi i maestri Johnny Lee Hooker, B.B. King, Elmore James e così via - negli ultimi anni si è affiancato il giovane Corey Harris, che ha proposto una valida rielaborazione artistica del blues di New Orleans, sporco, 'pieno', vario, un po' cajun, nonché miscelato con il blues D.O.C. del Delta del Mississippi. Ad appena un anno dal gradevole Greens from the garden Harris torna in coppia con il maturo pianista Henry Butler firmando Vu-du menz, una prodigiosa miscela di brani originali, covers e pezzi tradizionali per complessive quindici canzoni. E' un album acustico che nasce all'insegna della semplicità: soltanto voce, chitarra (o banjo) e piano, nient'altro, neanche l'ombra di una percussione - il che garantisce una venatura old style alla sequenza dei brani -. L'attacco è morbido e allegro con Let 'em roll, brano archetipico del profondo Sud degli States. A ruota segue un bel cambio d'atmosfera con la malinconia tutta 'blu' di If I was your man, che precede la soave Sugar daddy, zuccherosa e ricca di venature cajun. Dopo arriva There's no substitute for love, tutta giocata sul versante pianistico, e più spostata sul rhythm'n'blues. E, tanto per ricollegarci a quanto sopra premesso, dopo gli amori e le passioni, arriva anche il cotone delle piantagioni della Virginia, con la voce strascicata di Henry Butler che ci porta dentro King cotton. Già che ci sono Harris & Butler ci propongono anche l'irresistibile groove di Mullberry row, prima di passare alle deliziose Down home livin' ed a Voodoo man, pericolosamente indirizzata verso intensità soul: bastano un piano e due voci per creare un alone di irrefrenabile magia che ti risucchia inesorabilmente in una musica senza tempo. La sensazione di spaesamento spazio-temporale aumenta con il banjo di Song of the pipelayer e con la strumentale per piano L'esprit de James (composizione originale di Henry Butler). Da segnalare anche What man have done, ancora sapientemente ritmata dal solo piano, un pezzo che presenta una prodigiosa alchimia tra le voci dei due autori in un insostenibile crescendo di malinconia. Nella chiusa finale, la tradizionale Why don't you live so god can use you? si arriva al minimo bagaglio strumentale possibile - canto di Butler e controcanto di Harris, ritmo a battimani -: in soli due minuti, per chi non l'avesse capito, i due bluesmen ci spiegano il segreto di questo disco, ovvero l'essenzialità del buon vecchio blues che arriva dritto alla corteccia cerebrale passando per il cuore. E' Vu-du menz, e non deluderà gli appassionati del genere.

Corey Harris & Henry Butler, Vu-du menz [ Alligator]

Voto 8 

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