Dopo gli 800 paganti nel concerto
romano ritorna figliol prodigo e profeta in patria Federico Fiumani con il suo codazzo di fan
incalliti che lo seguono imperterriti da oltre venti anni incuranti delle mode
e del trend, dei cambiamenti e dell’elettronica.
Nei testi di F.F.
si predilige ancora lo schitarramento accompagnato alle corde dei sentimenti,
unione non semplice, accostamento difficile e pericoloso.
Ma Federico è un poeta
prestato alla musica ed i suoi versi sono stati per anni e per due generazioni
icone da trascrivere su diari, dedicare, scrivere sulle mura della città.
Gli anni passano ma le certezze rimangono; il ciuffo
ribelle è ancora lì, un po’ più lungo sugli occhi quasi a celare il sorriso
delle pupille quando guarda il “suo” pubblico fiorentino, che ancora lo ama e
lo stima.
Si comincia con le note delle
canzoni dell’ultimo album, freddino l’impatto con soltanto qualche scalmanato
che grugnisce le parole colme di quella rabbia punk- rock che forse è andata
scemando dagli ’80 ad oggi confusa da telefonini, grandi fratelli e benessere
fintamente diffuso.
Poi è tutto un susseguirsi di
emozioni e palpitazioni e la nostalgia della New Wave e dell’underground puro
dei garage fiorentini, con i Neon ed i Litfiba
agli albori, ritorna cocente: “Amsterdam” apre le danze ed il pogo piano piano
si allarga e diventa costume di massa dentro l’Auditorium
Flog strapieno, “Fiore non sentirti solo” è la spallata romantica
nell’acustica pessima del cemento dell’ex Paramatta.
“Oceano” taglia le gambe agli
ultimi impassibili, “c’è un oceano che esplode nella mia testa, un colore più
forte che illumina il giorno”, urlato a squarciagola con le dita al cielo, i
gomiti alti e le ascelle sudate, “L’odore delle rose” ristabilisce le distanze
tra l’amore e la perdita dello stesso.
Seguiranno, in un altalenante
rondò melò, “Io amo lei” straziante, “Blu petrolio” nella sua camicia a righine
sottili, un “Gennaio” d’altri tempi, pietra miliare, fino ai bis, “Verde” di
rammarico, “Labbra blu” con il cuore appeso su di un precipizio, “Diamante
grezzo” la più bella dichiarazione d’amore, altro che Prevert.
Peccato che non ci sia stato il
tempo per “Siberia”, “Caldo” o “Boxe”, per “Luminosa innocenza” o “Il ritorno
dei desideri”, per “Voce che chiami”, “Un temporale in campagna” o ancora “Siberia”.
Ma per suonare tutte le sue note
magiche naif, cantandole con la sua voce, anche stonata e se vogliamo
sgraziata, non sarebbero bastate ore e comunque non sarebbero state sufficienti
ai suoi fedelissimi che aspettano con ansia ogni anno il concerto fiorentino
per abbeverarsi di ciò che erano, per tornare ragazzi con qualche capello in
più e molte delusioni in meno.
Voto
8