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  26/04/2024 - 13:29

 

  home>musica > electro

Scanner - musica
 


Badmarsh & Shri
Signs
Una musica quasi "visiva", che traduce suono in immagine
[ Outcaste records] 2001

 




                     di Laura Rostiti


Ecco un album che lascerà il segno, come presagisce lo stesso titolo. Un titolo veramente azzeccato, che esemplifica in cinque lettere il concetto dell'intero lavoro di questi due DJ inglesi di origini indiane. Una musica quasi "visiva", che traduce suono in immagine, a partire subito dalla prima traccia (che dà il nome all'album stesso) il cui testo (life is one big road you've got a lots of signs…you've got to make up your mind...) diventa una specie di manifesto che sarà il filo conduttore per tutti i 49 minuti.

Domande, consigli o forse semplici commenti si svelano in "Swarm" (do you know where your drum is from?), il secondo pezzo dell'album (outcaste records), caratterizzato dall'ossatura drum 'n bass, in cui il ritmo è decisamente incalzante ma sapientemente accostato a sonorità indiane. Il beat è qui una forza vitale, che talvolta prende la forma di una corsa, una fuga verso l'ignoto ("Bang") sostenuto dalla voce che si fa strumento, o forse viceversa…ed è l'essenzialità che emerge dall'ascolto di questi pezzi, un'enfasi verso gli aspetti più radicali della musica, verso il ritmo puro: "Tribal" ci riporta attraverso un turbine di ritmi verso l'istintualità, verso quello spazio remoto da dove sgorga il soffio vitale dell'energia, il "drum" che già era stato introdotto in "Swarm". La tradizione indiana viene trionfalmente espressa da questo tema del ritorno e coesione con la spiritualità, che si traduce nel suono tipicamente orientale in apertura di "Get up", ove l'omaggio a James Brown (che dell'istinto ne sapeva qualcosa…) è naturale e perfettamente miscelato all'unicità del brano. Ma ciò che colpisce di questo album è l'eclettismo di Badmarsh e Shri, che riescono ad accostare pezzi di una vitalità incontenibile ad altri in cui la calma è colonna portante. In questo secondo gruppo rientra "Soaring beyond", brano per solo flauto e chitarra (binomio che riecheggia qui dopo la creazione di Moby "Guitar flute & string" - Play - Mute records, 1999), che si smorza dolcemente per lasciare il posto a "Sajanna", un tuffo diretto nelle profondità dell'anima, un brando che ha il potere di rilassare senza far dormire, si potrebbe definire una specie di dinamismo statico. La dimensione del sogno è più che mai in sintonia con questi brani, come accade anche in "Mountain path", forse la traccia dal titolo più emblematico. Già, perché qui ci troviamo di fronte ad un dipinto sonoro, in cui la descrizione di un cammino tra spazi immensi viene guidata dalla voce che risuona come un'eco, catturata tra i pendii. E quest'album non finisce mai di stupire (e di rilassare), perché è con l'ascolto di "Day by day" che si apre il momento più bello. La voce è quella di Kathry Williams, che si destreggia in un brano malinconico, toccante, in cui la batteria scandisce lo scorrere cadenzato sia del tempo interno alla musica ("day by day…" ) che esterno…il tempo, appunto, scivola lieve ma inesorabile, e ci porta alle ultime due composizioni. "The last mile", che si snoda attraverso la chitarra continua unita al coro di violini fino ad annunciare l'ultimo brano, "Appa" che può essere interpretato come un saluto, un augurio, una speranza. A questo punto, sulle queste ultime note, non resta che stendere il bilancio dell'album: i segni sono stati interpretati? Questo dipende da chi ascolta, ma una cosa è certa: il senso lieve di libertà e di armonia che rimane dopo l'ascolto di " Signs" è indiscutibile.

Voto 9 

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