L'arte del remix, questa
"creazione seconda" così connaturata alle magnifiche sorti
elettroniche dell'epoca moderna, partorisce di questi tempi parecchie raccolte,
che lavano l'onta arrecata al portafoglio con l'onore di assemblare
in un solo supporto ciò che di solito è polverizzato in una miriade di singoli.
Con gran rispetto ci si accosta
così ai
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Mixes for Cash rilasciati da uno dei maestri sommi del genere, Richard
James in arte
Aphex
Twin. Uno dei pochi veri geni partoriti dal gran mulinare
di campionatori, piatti e diavolerie. Cavaliere dell'inudibile, paladino
dell'estremizzazione delle frequenze, Aphex ha dato un senso alla parola
"ricerca" insieme a compagni di strada sparuti come gli
Autechre o i minimalisti teutonici.
Ripercorrendo i suoi interventi sul materiale altrui, emergono evidenti
l'austerità e il rigore dell'approccio di James: una copertina da musica
"classica", che dischiude scelte in parte anomale, compiute senza
nessun riguardo per trend o mode.
Nobukazu
Talemura o Jesus Jones, piuttosto che Björk o i Blur. L'austerità si
riflette nel glaciale magnetismo delle sovrapposizioni. Toni
lugubremente geometrici, come in
Raisin
The Titanic di Gavin Bryars, o infinitamente sadici (
Ziggy di Nav Katze). La decostruzione di un universo che
tende ancora al pop (vedi il pezzo dei Saint Etienne)
si sposa al più radicale dei rumorismi, o a qualcosa che pare proprio una
sinfonia metallica (
Time to Find Me
dei
Seefeel).
L'abisso è però raggiunto nella ricreazione di una ricreazione, il mix di
Heroes già lavorato da
Philip Glass. Come manovrando un enorme
cacciavite, Aphex stana i rimasugli della voce di Bowie e li spalma sui refoli
compositivi dell'illustre contemporaneo. Il risultato è un viaggio fetale alla
ricerca della madre perduta di questo pezzo-simbolo del rock, privato di ogni contestualizzazione e rispetdito nel grande magma
che l’ha prodotto dal postino Richard James, il marchese De Sade dei messaggeri
sonori.
Voto
9