Presentazione Teatrino Giullare, Alla meta, 2007
Presentazione Teatrino Giullare, La stanza, 2011
Recensione Teatrino Giullare, La stanza, 2011
Con “Finale di partita”
hanno fatto gridare al miracolo. Ci hanno fatto alzare dalle
sedie stupiti. Ci hanno fatto boccheggiare nelle “stanze” beckettiane,
abbiamo sbirciato sotto le loro maschere e ci siamo visti allo specchio. Ci
hanno fatto credere alla verità che si andava facendo sul palco, anche se si
trattava di burattini e pupazzi. Ci siamo affidati,
fiduciosi, ci hanno ripagato con un fresco entusiasmo inversamente
proporzionale al “causticismo” della vicenda del
cieco Hamm e del servo anchilosato Clov. I bolognesi Teatrino Giullare, al secolo Enrico Deotti e Giulia Dall’Ongaro (consultare anche il loro volume “Giocando Finale di
Partita”, edito dalla Titivillus) hanno vinto il Premio Speciale Ubu 06, il “Premio
Nazionale della Critica” ’06 ed il “Premio Speciale della Giuria al Festival
Internazionale di Teatro Mess” di Sarajevo nel ’07. Dopo
Beckett affrontano il secondo
passaggio della “Trilogia dell’attore artificiale” incrociando Thomas Bernhard.
“Alla meta” fa pensare all’attesa del sabato del villaggio. Una madre ed una
figlia si preparano per la loro consueta partenza per il mare, tra vecchi
vestiti e ricordi, aleggia l’agitazione per l’imminente arrivo dello
sconosciuto compagno di viaggio. Beckett-Bernhard. Il terzo, a chiudere il
triangolo, sarà Koltes: “Abbiamo da poco cominciato
lo studio su Koltes – spiega Enrico Deotti – per adesso siamo orientati a “Lotta di negro e
cani” ma tutto può succedere”. Spiega che Bernhard “è venuto da noi con le sue
nature morte, con i suoi personaggi che già parlano dei
loro meccanismi, delle loro rigidità. Lo stesso Bernhard diceva
che il suo teatro non era da uomini ma da marionette. Koltes è sicuramente più fisico e carnale ed il congegno
sarà più psicologico”. Tre in “Alla meta” i livelli di visione differenti del
concetto di attori artificiali: “Rispetto a “Finale di
partita” i personaggi non saranno in miniatura (i pupazzi lì erano alti 20 centimetri) non ci
saranno personaggi mossi da attori ma esseri completamente autonomi: un uomo, una
mezza donna ed un intero artificio”. Nel vostro “vocabolario” appaiono spesso “filtro”, “artificio”, aggiungerei anche
“maschera”, “travestimento”, “occultamento”, “tradimento”? “Se
è vero che il teatro porta al riconoscimento dell’evidenza, un maggiore camuffamento,
con il suo strisciante significato simbolico, paradossalmente, essendo più finto,
risuona ancora più vero. Senza alcun trucco né inganno perché qui tutto è alla
luce del sole”. Come può salvarsi il teatro dai vari Celentano, Isola dei Famosi, Grande Fratello? “Il teatro salva se stesso quando è arte, il teatro aiuta la società quando sa
farsi percorso etico, quando la sua funzione principale diventa mettere in
evidenza le cose, quando porta lo spettatore a vedere se stesso ed il proprio
mondo ed a ricavarne una riflessione”.
Voto
7