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Roberto Abbiati
Lo stampatore Zollinger
Tratto dal romanzo di Pablo d’Ors. Con Roberto Abbiati, Marino Zerbin, Matteo Rubagotti, musiche Alessandro Nidi, foto di scena Lucia Baldini
Produzione: Fondazione I Teatri Reggio Emilia. Visto al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia il 21 marzo 2011

 




                     di Tommaso Chimenti


Roberto Abbiati porta in scena le sue passioni. La cucina con “Pasticceri”, le favole per adulti con il Moby Dick diventato “Una tazza di mare in tempesta”, la tipografia con questa prima assoluta Lo stampatore di Zollinger. Storia surreale di un personaggio che, precario tra mille acrobazie, lavoretti e peripezie, s’ingegna e s’inventa professioni, sopravvive per poi, alla fine, poter realizzare il suo sogno: aprire una tipografia. Un inno al darsi da fare, al tirarsi su le maniche, a non lamentarsi. Abbiati, diplomato alla scuola di grafica di Monza, non è solo un appassionato di timbri a piombo ma anche un competente cultore. Si vede da come ne parla, da come racconta, con gli occhi scintillanti, di colori e caratteri. Abbiati (calcisticamente di fede milanista), nei suoi baffoni staliniani, è un talento autodidatta che, tra le altre doti, suona anche una ventina di strumenti musicali. Il suo Zollinger, più ingenuo di Woyzeck, un po’ lo stralunato e “bravo soldato” Svejk, naviga e galleggia tra le macchine futuriste che fanno sembrare il palcoscenico una vera e propria tipografia. Un laboratorio, zeppo di macchine e marchingegni leonardeschi, invenzioni particolari, pieno di ruote e biciclette (“il simbolo del ‘900” dice l’attore), raggi e pistoni, lucine e pennelli e secchi in movimento come fosse la disneyana Fantasia, una meraviglia per gli occhi: ferro e acciaio che danno l’idea del movimento ma anche del progresso, della tecnica e della tecnologia, del domani. Accanto ad Abbiati-Zollinger, praticamente quasi sempre muto, parla con le espressioni facciali clownesche e con gesti raffinati da mimo, c’è un bravissimo e puntuale Zerbin (8, viene dalla scuola della grande tradizione burattinaia) che è il narratore, l’uomo in grigio, il “rappresentante delle lettere”, ligio commesso viaggiatore, vagamente Mastroianni in Sostiene Pereira. Lo spettacolo lo regge sulle spalle la sua dialettica. Sembra di vedere battere i denti la Lettera 22 di Indro Montanelli, sembra di sentire il rumore dei telai di “Ad Ovest di Paperino” o la ferrovia da frontiera della “Buffalo Bill” di De Gregori. Manca però la magia, lo stupore fanciullesco, di poesia non se ne intravede, a parte alcuni slanci, che Abbiati riesce solitamente a creare, soprattutto quando l’attore esce dalla scena e, illuminato, accenna alla platea piccoli estratti della storia della tipografia, soprattutto un elenco di nomi senza approfondimento (ma non era comunque questa la sede opportuna per un saggio-conferenza sul tema). “Tutto il resto è bozza”, parodiando Califano. Come dire il cartoonist: “That’s all folks”. La piece, dopo una settimana da tutto esaurito a Reggio Emilia, sarà a settembre al Festival della Letteratura a Mantova e in futuro anche a Madrid: l’autore del’omonimo romanzo (che ad Abbiati ha consigliato il regista Carlo Mazzacurati), presente alla prima, ne è rimasto entusiasta e vuole portarlo in terra spagnola.

Voto 7 + 

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