Teatro Cantiere Florida, Musa di Fuoco, stagione 2006 - 2007
Romeo & Giulietta, drammaturgia e regia di Leo Muscato, 2007
MacBeth, regia Elena Bucci in collaborazione con Marco Sgrosso, 2007
Pasticceri, Io e mio fratello Roberto, Capuano - Abbiati, 2007
Se doveva essere uno spettacolo
comico il duo Capuano-Abbiati non è riuscito
nell’intento. Se doveva essere l’ennesima riproposizione
dell’abbinamento teatro-cucina le Ariette degli esordi
non sono neanche lontanamente paragonabili. Forse il primo spettacolo della
stagione 2006 Musa di
Fuoco al Cantiere Florida e il primo del 2008 al al Teatro Metastasio di Prato avrebbe potuto essere “la
storia di un pasticcere troskista” come Nanni Moretti minaccia
alla fine di “Caro Diario”.
Anche in “Due” con la compagna Palminiello,
Capuano, (“La cura”, “Le sante”, “Zero spaccato”), uscito
anni fa dalla scuola del Laboratorio Nove, non riuscì a convincere con
quella sorta di ilarità grottesca e silenziosa, giocando sull’assurdo ma senza
andare a toccare le corde profonde dell’animo umano ma sempre restando sospeso
in bilico tra la risata facile, già vista e rivista, ed un teatro beckettiano o pinteriano
difficile da riprodursi. Le parole sembrano essere un puro riempitivo tra le
infinite canzoni che scorrono e le torte che devono essere preparate per darle
in pasto alla platea. La musica dicevamo. Alle spalle
dei due pasticceri pasticcioni, i cui profili non sono
assolutamente delineati, ci sono due foto santini di Frank Zappa, che in
effetti somiglia ad Abbiati (Premio Fiesole per le
arti per “Una tazza di mare in tempesta”, “Il mio regno per un pappagallo”, “Il
viaggio di Girafe”). Ma le
due foto servono soltanto a pretesto per questa “battuta” (?) che lascia
interdetti. Poi passano a velocità incredibile Lou Reed, Prince
con “Kiss”, Alan Sorrenti con “Tu sei l’unica donna per me”, per poi passare ad un Ramaja di vaga sensazione Elio e le storie tese, per
approdare ad “Only you”,
“Pensami” di Julio
Iglesias, ma parlata, “Valentine”, per concludere
con “Angel” dei Rolling
Stone. Se a queste canzoni con coreografie identiche, alla “Full Monthy” per capirsi con sculettamenti
vari, ci aggiungiamo i continui riferimenti a Cirano, Abbiati
ha recitato nel “Cirano, un giardino sulla luna” di
Francesco Niccolini quindi aveva già collaudata la
parte, con l’immancabile innamorata Rossana, il testo, di per sé inesistente,
è già pronto. Si aspetta, con buchi enormi di silenzio, soltanto che,
finalmente, le torte siano pronte, per riempirsi la
bocca come nel migliore “panem et
circenses”. Manca l’anima, la poesia, il guizzo,
l’attimo che ti tiene incollato a sentire la fine della storia. La curiosità
emotiva. Solo in un attimo, fuggevole, si ha la netta sensazione che la piece stia svoltando, che si possa, tra tanta musica e
chiacchiere inutili, arrivare anche ad un lirismo che avvicini i personaggi e
che ci faccia entrare più nel vivo delle loro esistenze lasciate in sospeso. Capuano racconta: “Eravamo in macchina, nostro padre
guidava, noi due dietro sbadigliavamo. Dopo la curva eravamo
in tre a ridere”. Ecco l’attimo, ecco il brivido che fa di un
testo una scossa nella schiena. Invece si riprende con il tran tran di pentole e fornelli e la frase cade
e muore nel vuoto. Capuano vuol fare il verso ad
Albanese, senza però riuscirci, mentre il clown Abbiati,
il migliore tra i due, ha la faccia di gomma ed irregolare che suscita
simpatia, ma da qui a fare uno spettacolo teatrale decente
ce ne corre. In platea, tutto esaurito per la prima stagionale al Cantiere
Florida, si sganasciano di pancia, sguaiati, ma, come
cantava Guccini, “il pubblico è ammaestrato e non ti fa paura”. Per finire
altra parodia, stavolta da Forrest Gump: “La vita è una
torta, prendi quella che ti piace e tagliatene una fetta”. Come diceva Bartali: “L’è tutto da rifare”.
Voto
6 ½