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Sacco
Scritto e diretto da Claudio Remondi e Riccardo Caporossi
Con Armando Sanna e Pasquale Scalzi, Club Teatro Rem & Cap Proposte
Al Teatro Fabbricone di Prato dal 10 al 14 gennaio 2006

 




                     di Tommaso Chimenti


Rem & Cap: Altri giorni felici
Rem & Cap: presentazione Sacco
Rem & Cap: recensione Sacco
Rassegna Beckett cento anni, 1906-2006


Inseparabili. Fratelli indivisibili. Rapporto di sangue. “Non sono il guardiano di mio fratello”, Caino e Abele. Ogni sadico ha bisogno di un masochista. Ogni artista del suo “pubblico”. La pena del corpo, la trasfigurazione di un condannato. Un boia, un assassino, un rapito, un condannato, un supplizio, una continua perenne tortura. Sembra di essere in un Garage Olimpo, in un’Officina sperimentale con catene, arnesi, tenaglie, cavi, corde, strumenti di potere. Un circo dimesso dopo la partenza degli elefanti. Un secchio a lato. L’aguzzino è in bianco candido con un busto-body settecentesco che lo cinge, le zeppe ai piedi di cartongesso, quasi una teen ager anni ’90 sul cubo della violenza, un cerotto sulla bocca come per non raccontare ciò che quotidianamente fa o soltanto deve fare, lavoro o gioia? Il sacco è vivo, si muove nella sua iuta marrone e grezza, sporca e sudicia. Molto Beckett, molto Pinter. Violenza gratuita senza sapere le colpe del punito, perché si trova lì, qual è la sua condanna. Il peccato originale? Frusta e bastone, in alto grosse camere d’aria. Silenzio ovattato tra i movimenti geometrici del boss e le urla gaudenti e canterecce, gutturali, liturgici, gospel e nonsense del rinchiuso. Vorrebbe sparargli ma non ce la fa. E’ una guerra a distanza tra l’azione e la sua negazione obbligata: chi ha più paura? Il carcerato rimanda a Abu Ghraib, a Guantanamo, ai rapiti dell’Iraq. Pinze e punturoni da cavallo, alari appuntiti infilati nel sacco, casa e martirio, ospizio e rifugio. E’ un inutile safari colonialista contro una bestia in gabbia. Viene benedetto e salato, quasi un esorcismo, timbrato per essere allontanato, misera illusione. Il sacco sembra un’Isola di Pasqua fiera della sua immobilità. Viene coperto da un telo simile a quello delle gabbie dei canarini per farli dormire, agganciato ad un argano e sollevato come container al porto, una piramide a mezz’aria, una tenda tra le nuvole. Un Cristo appeso al crocifisso, un fantasma d’immaginario classico o un Barbapapà. Una lancia con una spugna conferma il parallelismo. Il palco è costruzione e distruzione. Una freccia lo colpisce, il prigioniero sanguina segatura, Pinocchio?, mentre il campo visivo è coperto. Abbiamo davanti tutto ma non possiamo né vogliamo vedere che cosa accade lì sotto. E’ un po’ la storia delle ultime guerre vicine e lontane. Il condannato sembra nascere dalle ceneri, prende consapevolezza del proprio corpo, il carnefice lo lava amorevolmente. Un infermiere caritatevole che lo carezza, lo coccola. Un infante incappucciato nelle sue fasce. Quando si libera si sente spaesato, come paguro senza il guscio, striscia come lombrico, lumaca. Viene racchiuso nuovamente in un telo, stavolta rosso, sangue? Sindone? Scacco matto.

Voto 8 

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