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Il Presidente
Ovvero ambizione odio nient’altro
di Thomas Bernard, Regia Carlo Cerciello, recensione Con Paolo Coletta, Imma Villa, Paola Boccanfuso, Cecilia Lupoli, Scene Roberto Crea, costumi Daniela Ciancio, musiche Paolo Coletta, disegno luci Cesare Accetta
Visto al Festival, Primavera dei Teatri, Castrovillari, Cosenza, Il 2 giugno 2011

 




                     di Tommaso Chimenti


Il Potere logora chi ce l’ha. Gli altri lo subiscono. E’ la storia più vecchia del mondo, che si ripresenta oggi come ieri, ed ancora ci sbalordiamo, scuotiamo la testa, diciamo no, che non è possibile. Signori, mettetevi a sedere, è tutto qua. Una vecchia pubblicità diceva: “Ma Tarzan lo fa”. Noi aggiungiamo: “Ma Bernhard lo sa”. Il Presidente misterioso che nella prima parte se ne sta dietro le quinte rilanciando frasi sconnesse in risposta alla moglie inconsolabile per la perdita del loro cane, siamo noi, i nostri vizi capitali, fatti passare per superficialità, dimenticanze lasciate correre come cialtronerie folcloristiche paesane, con quella semplicità e bonarietà e ingenuità con l’indulgenza che si portano dietro. Una costruzione faraonica, nel senso piramidale, il Potere, la gerarchia,la Trinità, le scale per arrivare fino in cima, la punta dell’iceberg appuntito, è la base dei due atti, consecutivi ed in corto circuito, che mettono a confronto le due facce della stessa medaglia, che un grande uomo ha sempre bisogno di una grande donna a fianco: il nero della moglie (Imma Villa in apnea, lucida nelle sterzate e nelle sferzate, pronta, ritmica, solida), classico e demodè, in cima, infilata ed impilata come la Winnie beckettiana di “Giorni felici”, invece che in un buco a terra, in questa vetta fredda, come tuorlo dentro il cumulo di farina nella preparazione delle “chiacchiere” (la logorrea è uno dei tratti caratteristici dei personaggi di Bernhard), ma sempre imprigionata, con facilità d’azione delle braccia ma zero degli arti inferiori: non si può fuggire al proprio ruolo, scappare dalla propria ombra fedele. Si parlano ma non si rispondono. I dialoghi sono soltanto monologhi sterili. Il bianco, neon freddo e modernità del marito presidenziale immerso, elegantemente vestito, in una vasca, come piranha, come squalo o alligatore, sotto quest’astronave da Star Trek o cabina da lampada abbronzante, nuotando nella propria melma autoprodotta, con la starlette di turno (Ruby?), l’attricetta (Veronica Lario?), la velina (un nome esotico o italico a vostra scelta). Mentre la moglie parla di tutto e di più, affrontando, miscelando la pettinatura, gli attacchi d’invidia alla giovane cameriera (come nella Coco di Koltes) la situazione politica, il cane scomparso ed altri variegati ammennicoli e discorsi accessori, il marito, del quale la consorte ne conosce gli usi ed i tradimenti, e li accetta, il potente marito (Paolo Coletta frizzante, attivo, sciorinante denso, inappagabile, deciso) si spertica in omaggi dialettici prima verso la nuova carne fresca che ha conquistato, poi rivolgendo gli stessi complimenti (“sono il miglior primo ministro degli ultimi 150 anni”?) verso il se stesso, ormai sdoppiato, quasi ne parlasse in terza persona, tanta e tale è l’altezza alla quale è giunto. In un Paese pronto al collasso, dove i terroristi (a detta dei reggenti) hanno già ucciso le più alte cariche dello Stato con vari attentati (il piccolo Duomo di Milano?), una Nazione che come il Titanic si prepara all’affondamento e dove imperterriti si continua a suonare nell’orchestrina di partito, il Potere tenta di riprodursi, lasciandosi alle spalle l’oggi, godendo della costruzione, fallimentare e con i piedi d’argilla, del domani. E proprio il fatto che tra i ribelli ci sia il figlio del Presidente (Pietro Maso o Bruto versus Cesare), che ha ripudiato padre e madre, e soprattutto che si voglia spostare la colpa degli attentati verso il figlio della cameriera, dà ancora un quadro allucinato, opaco e distorto, come caleidoscopio, della percezione della realtà da parte di chi sta in prima fila. Beckett e Pinter sono stati insigniti del Premio Nobel per la letteratura, perché non Bernhard? Il leggio finale di cameriera e attricetta è alquanto inutile.

Voto 7 

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