Armando Punzo
Pinocchio
Lo Spettacolo della ragione
Il fondatore e direttore della Compagnia della Fortezza in scena col suo ultimo spettacolo, estate 2007, all'interno del carcere di Volterra, scenografia di Alessandro Marzetti, costumi di Emanuela Dall’Aglio
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Spiazza il Punzo show
all'interno del carcere di Volterra. Questo “Pinocchio”, politico e anarchico e
ribelle, è nato solo venti giorni fa. I dissidi con
l'amministrazione e la direzione della struttura penitenziaria escono fuori
come elastico tirato su gambe abbronzate lasciando il segno senza spiegare il
perchè. Piccole gomitate date nell'aria, a vuoto, come la
messinscena di una cucina (sarà la troppa vicinanza con le Ariette ormai ospiti
fissi del festival) che prepara tagliatelle che nessuno mangerà. Nel
mezzo dell'arena il regista, per la prima volta attore, si agita funambolo e
furibondo, tra rabbie, incomprensioni e lacerazioni, avvolto e coinvolto, ma da
capopopolo e Masaniello
in testa ad un manipolo di figure usciti dai suoi
spettacoli precedenti. Ed il gatto e la volpe vanno a
braccetto, ruffiani e suadenti, ad un coniglio di derivazione carrolliana,
ad un pinguino in moviola, un angelo napoletano, un buffone rimasto impigliato
nelle sbarre dallo scorso anno, mentre nell'angolo, in castigo, un Pierrot
ragliante e piangente con le orecchie d'asino sta con la faccia in una cornice
vuota che forse rappresenta, ormai, l'istituzione teatro in carcere che è
giunta al capolinea. Almeno, forse, qui a Volterra L’Odissea della Tempesta
avvicina alla Quiete. Ma il teatro in carcere senza carcerati, o usati con il
contagocce come comparse e volumi in movimento, ha
effettivamente poco senso. Una voce fuori campo, inquietante e tenebrosa,
ripete ossessiva lo stesso refrain intriso di
nostalgia fanatica infantile. Chi non vorrebbe tornare ad
essere feto inglobato nell'acqua calda primordiale. Un Pinocchio che
"muore un'ora dopo l'altra", che tenta di spazzare la sabbia, la
noia, i detriti accumulati, cercando di far riemergere la sostanza delle cose a
scacchi bianchi e neri, che balla un valzer con il suo manichino al quale viene dedicato un funerale balcanico
in uno sdoppiamento-transfer. Un Pinocchio che per affrancarsi, e finalmente
liberarsi dai gangli del legno che lo stringe ed imprigiona, tenta di
uccidersi, impiccandosi con l'ancora che non è riuscita a colpire la Balena, e la morte torna
necessaria per essere di nuovo vita sotto altra forma,
come a dire che un burattino morto è già in qualche modo una guarigione
annunciata. Pinocchio è un Punzo
catalizzatore che grida "voglio essere scomodo", e c'è e si sente
l'identificazione, con la persona e non con il personaggio, una confessione in
piena regola paragonabile ai "Racconti di giugno"
di Pippo Delbono. Ma è già la comprensione la morte
perchè, etimologicamente, fa essere racchiusi e contemplati in liste e archivi
e scaffali. I suoi amati Rabelais, Artaud, Pasolini e Don Chisciotte hanno rotto mura,
sconfitto mulini a vento, urlato con la loro forza maggiore: la voce.
Voto
7
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