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A(h)ia, recensione
Compagnia del Teatro Povero di Monticchiello
Sullo sfondo il cosiddetto scempio della Val d’Orcia
Repliche tutte le sere dal 21 luglio al 12 agosto 2007, eccetto lunedì, ore 21.30

 




                     di Tommaso Chimenti


Teatro Povero di Monticchiello 2007, Ahia, presentazione
Teatro Povero di Monticchiello 2007, Ahia, recensione


Secondo me, quello dell’ecomostro è quasi un bluff costruito ad arte. E i giornali ne hanno fatto da cassa di risonanza. Il cosiddetto scempio della Val d’Orcia, patrimonio dell’Unesco, sono cinque villette a due piani costruite rispettando tutti i crismi ed i canoni ed i vincoli paesaggistici. Adesso nella vallata che si scorge da Monticchiello, sede del Teatro Povero, la fanno purtroppo da padrone gru e ruspe e silos di cemento bloccati nel mezzo delle colline gialle. Asor Rosa (presente alla prima della piece) avrà avuto i suoi buoni motivi per sollevare tutto questo polverone. Comunque le parole hanno un significato e sono importanti, come diceva Nanni Moretti. Chiamare cinque palazzine in stile rurale casermoni, cementificazione selvaggia, strazio paesaggistico, abuso edilizio o appunto lo sciagurato ed avventato “ecomostro”, è a mio parere oltremodo allarmista e criminale, soprattutto da chi ha cavalcato l’onda sulle spalle degli abitanti. Come andrebbero chiamate allora le costruzioni in riva al mare nel sud Italia, come definire i pilastri di cemento armato su scogli e golfi in aree naturistiche? Andrea Cresti, il regista dell’autodramma, sempre più simile ad un Cacciari in grigio, non poteva, assieme alla cooperativa teatrale, non trattare il tema scottante che ha caratterizzato lo scorso inverno riempiendo fiumi di parole. Ma, conoscendone la sensibilità e l’intelligenza, ne avrebbe certamente voluto fare a meno. Poi c’è anche il teatro, il nuovo spettacolo “A(h)ia” (fino al 12 agosto, 0578.755118). Al centro della scena un albero della cuccagna finto, sventrato e sfigurato, vilipeso, svuotato e violentato. I rami sono mani in alto tese a chiedere aiuto o arresesi all’oltraggio. Non mancano, come ogni anno, i veli trasparenti in dissolvenza che fanno memoria e nostalgia. Il dubbio amletico è se aprirsi alla modernità, al ripopolamento, al futuro (la costruzione di nuovi insediamenti urbani) o rimanere isolati a protezione di un mondo arcaico ed antico che forse non esiste più (il borgo turistico e commerciale da cartolina che si anima per tre settimane d’estate). Ma è un cane che si morde la coda. Come il teatro in piazza è stata la salvezza di questi trecento coraggiosi abitanti così sarà anche la spada di Damocle che calerà tagliando definitivamente radici e cordoni ombelicali con la terra. L’operazione memoria, gli scheletri fatti uscire dall’armadio ed i panni sporchi esposti senza vergogna davanti a turisti occasionali, come safari o zoo con flash ricordo e scatti e pici e Brunello, si è pian piano trasformata in un’occasione ormai scissa dalla molla dell’urgenza che ne portò alla nascita. Qualcuno, quest’anno, ha voluto sfruttare, non rispettandone il lavoro e l’impegno, il clamore positivo del Teatro di Monticchiello, che ha travalicato i confini nazionali, iniettando nel dibattito questioni private e politiche che poco hanno a che fare con la missione di Cresti e soci.

Voto 7 

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