Compagnia Giardino Chiuso, Macchine, 2008
Mitomacchina
Storia, tecnologia e futuro del design, 2007
Il linguaggio letterario di Sebastiano Vassalli è strutturato per una prosa letta, nero su bianco, sulla pagina, nella
mente, in silenzio, evocativa che porti. Riportarla però a teatro, senza una
drammaturgia che ne limi, anche dialetticamente, angoli o, al contrario, ne esalti la durezza, ne amplifichi gli spazi e gli interstizi, ne mina la potenza e le potenzialità. Perché, c’è differenza tra una pagina e la sua
riproposizione teatrale. Tre gli episodi messi in atto, mentre la danzatrice e coreografa stigmatizzava e sottolineava gli interventi vocali di Fulvio
Cauteruccio (anche fuori campo in una disarmonia a volte non così scorrevole), doppiato dalle proprie parole in audio in un, inutile, giro di vite virtuoso tra la faccia esposta e la propria vocalità ridistruibuita
dall’alto in un gioco di specchi anche stucchevole e non così efficace. In
video macchine e strade e strisce pedonali e rombi di motore e tubi di scappamento a rafforzare il titolo, “Macchine”. Un ingorgo con un amplesso tra un camionista ed una signorotta, nel cortocircuito tra classi in una vendetta
testa coda dell’uomo animale e viscerale del basso ceto con l’impellicciata liftingata pregiudizievole immersi in uno splendido via vai di mini macchine a pedali flintstoniane per bambini. Al limite della commozione l’ex soldato in carrozzella (ricorda nella trasposizione “Il mio piede sinistro”
con Daniel Day Lewis)
stroncato dal senso di colpa dell’abbattimento dell’auto che viaggiava spedita
verso il loro posto di blocco guidata da fanciulli dall’infanzia negata e per
questo loro gioco immolati all’altare del martirio predestinato, e per questo
suggellata con medaglie al valore. Il terzo è un suicidio idilliaco in una macchina diventata bara per due anziani che per sfuggire alla morte la
autoprovocano scegliendo il momento del calare il sipario senza attendere una fine improvvisa. Chi lo chiama coraggio e chi viltà. Il motore è un cuore che pulsa e si contrae, una cinghia che ruota a dismisura, la macchina è un guscio
indispensabile, un carapace che contiene, una conchiglia con dentro un paguro,
una chiocciola che ospita un mollusco, lo scudo di ferro degli Achei. La fine-cimitero è lo sfasciacarrozze. La regia di Tuccio Guicciardini si limita ad assemblare le tre parti in gioco, recitazione lucida di Fulvio Cauteruccio,
danza ondulata e scorrevole di Patrizia De Bari, e video didascalici di Andrea Montagnani, senza però riuscire a trovare quel legame sotteso, quel necessario magma, quella saliva che non solo leghi e colleghi ma che innesti l’uno dentro
l’altro i vari mondi facendoli dialogare e germogliare. Il lavoro della Compagnia Giardino Chiuso ha debuttato come primo studio all’Auditorium Melotti di Rovereto in
occasione della mostra Mitomacchina
del museo Mart di Trento-Rovereto.
Voto
6 ½