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  24/04/2024 - 20:34

 

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The Lion King
musica di di Alan Menken, regia di Julie Taymor
Un musical da un cartoon di Disney
Londra, Lyceum Theatre

 




                     di Fulvio Paloscia


  The lion king, il fenomeno
 The lion king, le scene, le coreografie


Confessiamolo: l'idea di trarre un musical da Il re Leone, uno dei migliori film del nuovo Disney, tragico e comico allo stesso tempo come solo i drammi di Shakespeare hanno saputo essere - e qui, ormai è assodato, la lotta tra buoni e cattivi, giusti e ingiusti intorno al potere è quella di Amleto così come l'idea del figlio che vendica il padre ucciso per questioni di corona - sulla carta poteva sembrare balzana. Com'è possibile trasformare in spettacolo teatrale una favola dove gli animali sono i protagonisti? Com'è possibile restituire su un palcoscenico iene e giungle varie? A suffragare il timore c'è un'altra trasposizione disneyana: quella della Bella e la Bestia, altra piccola perla disneyana degli ultimi anni, la cui versione in musical trionfa sia a Broadway che a Londra. Uno spettacolo sfolgorante, rigoglioso ma ai limiti dell'oloeografia e del kitsch, un'ambaradan di fuochi d'artificio e di verosimiglianze così "vere-vere" da sembrare finte che divertono e stuccano al tempo stesso (sostenute però dalla bellissima musica di Alan Menken, per lungo tempo autore ufficiale delle colonne sonore di Disney e oggi transfuga altrove: già in Mulan se ne sentiva la mancanza).

Invece, è accaduto il miracolo. E quel miracolo ha il volto appuntito e nervoso, gli occhi luccicanti e l'indomabile fantasia di Julie Taymor, che di mestiere fa la regista (il pubblico italiano la conosce per un Flauto Magico di Mozart diretto da Mehta al Comunale di Firenze, presto uscirà nelle sale cinematografiche un suo Tito Andronico con Anthony Hopkins) e che con questo spettacolo, oggetto di trionfo dal '97 a New York (dove sta battendo ogni record di incassi e dove ha fatto incetta di premi, un Tony per la miglior regia e uno per il miglior musical, il che significa i più importanti riconoscimenti per il teatro in America) ora in Europa, al Lyceum Theatre di Londra, vince una scommessa dall'aria improponibile. La Taymor ha avuto l'idea di camuffare cantanti e ballerini da animali. E fin qui nulla di strano: già il collega Trevor Nunn in Cats l'ha fatto. Lei sceglie però altre strade: non quelle del travestimento totale, come accade nel best seller di Andrew Lloyd Webber. Visto che il primo obiettivo - centratissimo - che la regista si è posto è quello di una partecipazione mentale attiva del pubblico, ha inventato delle protesi, più che delle semplici maschere (ideate con Michael Curry), che "danno l'idea" dell'animale ma non lo sono completamente. Rimane in vista il corpo degli artisti, - coperto di costumi che evocano le sembianze di bestie più o meno feroci - il loro volto, truccato con simboli e colori tribali, alla maniera africana; rimane visibile la manipolazione che anima ogni figura sul palcoscenico. Tutto è stilizzato, non c'è la preoccupazione di far sembrare vero ciò che non lo è, che non può esserlo: anzi, la Taymor evoca più che la giungla, un'idea di giungla fatta di legno, stoffa e carta, una natura completamente reinventata, dichiaratamente finta e fantasiosa.

Voto 8 

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