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Compagnia Scena Verticale
La Borto
Il nuovo spettacolo di Saverio La Ruina
Dopo il successo del debutto al Teatro India di Roma arriva in anteprima per la Toscana il 28 novembre 2009 al Teatro Manzoni di Calenzano

 




                     di Tommaso Chimenti


E’ già tutto nel titolo. Con quella sgrammaticatura che trasforma l’atto al femminile. Così come vuole l’uomo, pronto a lavarsene le mani. Saverio La Ruina dopo l’acclamato “Dissonorata”, riprende i panni di una donna. Una donna del Sud. Una donna calabrese. Ancora il dialetto aspro delle sue parti, Castrovillari, provincia di Cosenza, ancora violenze e sopraffazioni del mondo maschilista verso le donne. Ancora una volta una sedia e la musica dal vivo di Gianfranco De Franco a sottolineare, commuovere, ispirare, come un respiro, di sollievo, di nascita, o meglio, di rinascita. Dopo la prima nazionale romana arriva sabato 28 novembre 2009 al Teatro Manzoni di Calenzano il nuovo lavoro della compagnia Scena Verticale, conosciuta a livello nazionale per l’importante e caloroso festival estivo “Primavera dei Teatri” che da dieci anni si svolge agli inizi di giugno. E’ una storia a doppio binario che ha per protagonista una ragazza, una bambina che viene data in sposa appena tredicenne ad un uomo molto più grande di lei e per giunta malato, storpio e sciancato e che la mette incinta e la fa partorire sette volte in pochi anni. E’ l’ultima gravidanza, vista e subita come l’ennesimo affronto da patire, il climax della piece. La donna si ribella e trova la forza per annientare, per annullare, soffocare, uccidere il nuovo ed imminente parto. E’ una presa di coscienza e consapevolezza, è una liberazione, è un ribadire la propria esistenza nei confronti dell’uomo che vede le donne come un forno, come un contenitore vuoto da riempire fino all’orlo, senza alcun rispetto. “Gli aborti clandestini molto spesso portavano alla morte. Ho letto dei dati che sembrano numeri da bollettino di guerra. Le donne morivano per infezioni, per i rozzi strumenti non sterilizzati usati, per i ferri da calza da macellaio, per il chinino, per il prezzemolo assunto in dosi massicce”. La regia è di Dario De Luca che in questi mesi sta girando con la sua piece “U tingiutu. Un Aiace di Calabria”. La Ruina sente pressante e urgente la situazione femminile: “Se non fosse fortemente implicato l’uomo non avrei mai scritto né Dissonorata né La Borto. Come uomo mi sento sulla sedia degli imputati. La domanda che mi ha mosso è stata: “Ma gli uomini durante e dopo dov’erano?”. All’interno del testo è molto presente lo sguardo ed il comportamento maschile”. E’ un giudizio negativo su questi uomini assenti, egoisti, menefreghisti. E’ un plauso alla legge 194 che di fatto ha diminuito gli aborti. “Alla donna fino agli anni ’70 era precluso il piacere sessuale, erano soltanto uno sfogatoio riproduttore. Gli uomini utilizzavano le donne per poi rifuggire le loro responsabilità, omettere la loro parte nel gioco a due, dileguarsi, sparire, lasciando la donna sola con il suo dramma. Perché di trauma vero e proprio si tratta, che la donna si porta dietro tutta la vita”. Ma sembra che le cose nel tempo non siano cambiate di molto: “Alla fine del testo la protagonista, ora nonna, accompagna la nipote ai nostri giorni ad abortire a Milano. La giovane deve abortire, e indebitarsi in una clinica, perché in Calabria o mancano le strutture adeguate o ci sono troppi medici obiettori di coscienza”. Durante le prime repliche al Teatro India a Roma una ragazza si è sentita male in sala. Info: 055.8877213; www.teatrodelledonne.com.

Voto 8 

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