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L’Italia s’è desta
Catalogo No-strano
di Stefano Massini, con Daniele Bonaiuti, Luisa Cattaneo, Ciro Masella, regia Ciro Masella
6, 7, 8, 13, 14, 15 maggio 2010 al Teatro Manzoni di Calenzano, 2 giugno 2010, evento speciale in scena a Primavera dei Teatri di Castrovillari

 




                     di Tommaso Chimenti


La fine di Shavuoth, 2010
I capitoli del crollo, Volume primo: Tre fratelli, 2010
L’Italia s’è desta, 2010
Frankenstein ossia il Prometeo moderno, 2009
La Gabbia III, 2008
Donna non rieducabile, anteprima, 2007
L’odore assordante del bianco, recensione, 2007
Stefano Massini, Scanner intervista il regista fiorentino, 2007
L’odore assordante del bianco, scritto e diretto da Stefano Massini, 2007
Muro di silenzio, diretto da Stefano Massini, 2005
Norma 44, di dacia Maraini, diretto da Stefano Massini, 2004
La Gabbia, diretto da Stefano Massini


Proprio per il 2 giugno, festa della Repubblica. L’Italia non solo non s’è desta, non si è svegliata, ma giace in un lungo sonno, anzi un torpore che attanaglia. I suoi vizi sono diventati normalità, il cinismo sdoganato da slogan e dubbi personaggi che fanno tendenza, le nuove mode aiutano a sentirsi meno soli utilizzando la solitudine altrui in riti collettivi vuoti e svuotati nei quali ognuno crede sempre meno ma urla sempre più forte la sua appartenenza nell’illusione che l’innamoramento arriverà come per osmosi. Italia Bel Paese è un’equazione arcaica. Adesso manca anche il sole, gli italiani si sono ingrigiti come piccoli impiegati tristi di certi romanzi. Camminano vicini ai muri, all’estero ridono di noi, non sappiamo l’inglese, non abbiamo internet né la banda larga, facciamo pagare il wi fi nei bar quando nel resto d’Europa da ogni angolo la rete è accessibile gratuitamente. Continuiamo a scannarci per diatribe piccolo borghesi, con la Chiesa sempre in prima fila, quando il mondo, là fuori, va a puttane e da noi continuano a dire che la crisi non ci ha toccato. Ed allora viva la penna di Stefano Massini, il suo graffio su questa, lunga, stagione polverosa, il suo soffio, la sua freschezza stilistica, nella quale si ritrova la vena e la verve lucida di uno Stefano Benni, con in più quell’amarezza consapevole, uno sguardo distaccato ma non rassegnato. Proprio perché d’Italia si tratta, Massini, sfruttando l’esterofilia che ci attanaglia, concede ad ogni capitolo un titolo d’importazione anche maccheronica: Italia Numbers, Comics, Tourism, Tomorrow, Family, Kamikaze, Cash & Carry, Circus, Lager, Panic, Apocalypse, For children, Disneyland, Derby. Che, in definitiva, abbiamo bisogno di un affrancamento internazionale per certificare vizi provinciali e di campanile. Le sue descrizioni minuziose veristiche spiazzano, danno i contorni, le linee, le ombre al paesaggio che diamo per scontato. Ma, come si sa, tutta l’Italia è paese, borgo, rione. C’è ancora chi parla di comunisti e di partito dell’amore. Storie vere, verissime, tratte dalla cronaca recente di questi ultimi anni terribili. Storie quotidiane passate sotto silenzio. Ne ha scritta una identificativa per ogni regione. Ne esce un quadro allarmante, allarmato, da mani nei capelli, da risate incontrollabili. Siamo noi quelli che Massini racconta attraverso questo telegiornale cadenzato letto dai tre mezzobusto (Daniele Bonaiuti, Luisa Cattaneo, Ciro Masella, regista, enfatico)? Siamo noi questi sciagurati, arruffoni, caotici, imbroglioni, improvvisati, sciamannati, esagerati, impreparati, mitomani, miseri esseri? Si, la risposta è si. Raggrinziti sul nostro ombelico a parlare degli antichi romani, del Rinascimento, di Leonardo da Vinci e Raffaello, dell’ultima Italia che ha vinto i mondiali. Ci crediamo superiori, migliori, il popolo eletto, ed è questa presunzione arrogante che blocca le idee future. Quelli che vanno fuori dallo Stivale, a vivere, a lavorare, se ne rendono conto presto, subito, all’istante. Siamo un Paese come tanti altri, con moltissimi problemi, ma senza energie per affrontarli, per risolverli, una Nazione vecchia, scarica, devota all’odio, alla rabbia, al rancore, al pallone, alle Madonne, alla Moda. Incastonato nelle proprie ataviche contraddizioni-convenzioni-convinzioni. E allora perché ci stupiscono le parole, i versi in prosa rappeggiante di Massini? Siamo grotteschi e ridicoli, ci vergognamo di quest’Italia sotterranea che fa capolino come i cinesi che pagano l’affitto a Milano per dormire nelle fogne, siamo folli come il nuovo supereroe napoletano soprappeso con il costume cucito dalla madre, siamo i bambinoni addomesticati e resi docili dai jingle nei supermercati, proviamo depressione se il nostro carrello resta più vuoto di quello del vicino, se non abbiamo l’ultimo ritrovato della tecnologia che per riuscire a far funzionare passeremo notti in bianco a leggere libretti di istruzioni incomprensibili e appena saremo riusciti ad utilizzare sarà già obsoleto. Ogni scena è tagliata da un pezzo d’inno eseguito in modi diversi, dal rock, all’elettronico, dalla fanfara, o a cappella da un bimbo piccolo. Storie drammatiche, i fiumi seccati dai lavori dell’Alta Velocità nel Mugello in Toscana, i missili in Sardegna, i lavoratori indiani uccisi in uno stabilimento-salumificio in Emilia. Cos’è oggi l’Italia? Una maglia azzurra, un piatto tipico, un mago, un antidepressivo, un outlet, il Superenalotto, un gratta e vinci, una cartolina del Chiantishire, la paura degli immigrati, gli scandali sessuali dei politici, il gossip? O, come suggerito dai tre sulla scena nell’ultima istantanea in maschera, “una cagna in mezzo ai maiali” come canta De Gregori? Ma se “ la Storia siamo noi”, perché tutto questo disfattismo, vittimismo, rassegnazione e pressappochismo? Italia destati.

Voto 8 

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