"Abituato a morso e fuga, mi sporco di fango catrame e di ruggine, l’istinto mi spinge
un sole che mi asciuga, a un metro dalla grandine. E allora ululo ed alzo il bicchiere, tra sassi scarponi e bestemmie che
tirano ed ululare è un sollievo e un piacere, che almeno do fastidio un po’”. (Luciano Ligabue, “Figlio di
un cane”)
“Comunque vada, che tu sia Dolce
o Gabbana, che tu sia figlio di una guerra Santa giusta o sbagliata, non importa se dormi in una villa o per strada, che tu sia uomo, donna, frocio, Lucio Dalla o Sinatra”. (Cesare Cremonini,
“Figlio di un Re”)
Siamo figli di un Dio minore, di
un Dio che vede ma non provvede, immobile, apatico, che ci lascia a farfugliare, sgomitare contro i nostri simili nel mondo di
fango per un tozzo di pane. Siamo rifiuti umani che cercano nell’immondizia e negli scarti, negli avanzi la loro sopravvivenza, il loro osso, siamo reietti, ex di qualcosa o di qualcuno. La salvezza sono i sogni, sogni
che rimarranno tali, che sia una conigliera o un’apparizione televisiva. Siamo
piccoli, soli, naufraghi senza nessuna isola da raggiungere, che le braccia ci
dolgono, la vista si appanna, la lucidità se ne va, il respiro s’affanna. Carne da macello. Niente più. “Figli di un brutto Dio” è il titolo, all’interno dell’omonima piece dell’intenso ed energico duo Musella Mazzarelli, di un format tv. Porta alla luce storie drammatiche, tristi vicende per fare share, ascolti, vendere prodotti pubblicitari. Le
persone sono trattate come merce, numeri, con tutto quell’alfabeto inglesizzato
freddo e asciutto che separa la visceralità
dei sentimenti, la vita reale dalla sua proiezione dentro il tubo catodico. Il
mondo è in caccia di tipi come te che non hanno bandiera, che non hanno speranza, né presente né futuro. Tutti pronti a prostituirsi per quel quarto d’ora di celebrità. Andy Wharol non la
pronuncerebbe più la sua massima. Due parti dentro FdBD.
Si apre e si chiude, chiudendo il cerchio, con due emarginati, che stazionano ai bordi di un marciapiede, aspettando un
fantomatico autobus-Godot che, non smentendosi, non arriverà mai. Due, numero dell’equilibrio in potenza, numero che presuppone un rapporto di forza, e violenza intrinseca, di potere, abuso di
potere, punizione, sottomissione, padrone e cane da bastonare. Rapporti di dipendenza dove il sadico ha un bisogno irrefrenabile del masochista, master e schiavo vanno a braccetto e la patologia diventa stile di vita. Sudditi e non
cittadini. Meglio essere deresponsabilizzati e seguire il guru dall’alto del suo palco, arraffando le briciole. Gli emarginati,
ricordano alcuni stralci da Scimone e Sframeli,
con “Uomini e topi” di Steinbeck sullo sfondo, nella loro bolla di sapone,
forse, riescono a salvarsi dalla vita stessa, rimanendo uniti, grazie a quell’affetto e a quella solidarietà che fuori, nel cosiddetto mondo dei normodotati singoli ed individualisti, si è perso, o meglio venduto o svenduto al miglior offerente. Nella seconda parte, un casting per un programma-verità con ospiti derelitti umani, casi viventi da studiare, analizzare con tanto di telecamere ed esperti. Distruggere la materia prima, pagandola di una fama effimera, e far sentire meglio il popolo a casa. Che qualcuno (Berlusconi, la Ventura) chiama ancora “sovrano”. Lucignoli vari di stampo milanese (uomini del fare) che fanno
brillare la mercanzia e la paccottiglia per farti entrare nel Paese dei Balocchi che sia il Grande Fratello (gocce di Videocrazy)
o qualche altra scorciatoia che luccichi tanto da abbagliare te stesso e la tua piccola realtà. Essere qualcuno che non si è, essere migliori, comprare una nuova pelle, un nuovo ruolo, darsi un’altra forma, diventare qualcuno dopo essere stato per tanto tempo nessuno. Un mondo dove realtà e fiction si sono pericolosamente incrociati ed intrecciati: cos’è vero, cos’è falso? Niente più ha un suo peso specifico, tutto rimane sospeso, in relazione agli altri, all’esterno, alla considerazione del mondo là
fuori, nell’invidia che riesce a provocare il tuo status, non nell’accoglienza
ma nella predominanza. Basta guardare “The Club” su Mtv, o “Uomini e Donne” della De Filippi. Si è disposti a tutto per di apparire. Che la parvenza è bidimensionale. Difetta di profondità.
L’abbrutimento è in atto. Non da oggi. Non da ieri.
Voto
8