Spietato, graffiante,
disilluso, amaro. È questo il gusto che si assapora nelle pagine di Francesco
Dezio, che con questo breve, ma forte racconto si
fa testimone del suo tempo, diventando simbolo di quella precarietà soffocante
e disarmante che ingrigisce l’universo esistenziale
dei giovani alle prese con il mondo del lavoro.
Nicola Rubino
entra in fabbrica, con un contratto di formazione lavoro. Dopo una serie di
colloqui individuali e test psico-attitudinali di
gruppo, approda nel microcosmo emozionale dell’operaio specializzato. Entra in
confidenza con le macchine, il sistema di turnazione, i
caporeparto, i team leader, i numeri di codice sul badge e comincia ad orientarsi
nella multiforme umanità operaia composta da dipendenti, lavoratori interinali
e a formazione lavoro. Ed in ognuno dei personaggi con
i quali viene in contatto riscopre una parte di sé, di ciò che è sempre stato e
di quello che desidererebbe essere. La
fabbrica diventa da mero luogo dove svolgere la propria attività
lavorativa, scuola di vita, dove crescere, imparare, intrecciare legami, riporre
speranze. Ma al tempo stesso la fabbrica gli appare il
terreno dove giocarsi una gara all’ultimo respiro, sempre più spietata, in
compagnia di tutto un gruppo di lavoratori che sgomitano per ottenere il
rinnovo del contratto, l’assunzione a tempo indeterminato, un posto in prima
fila nel reparto più ambito, una promozione e le gratificazioni in busta paga. Nicola impara a fare i
conti con i favoritismi, con i commenti da bar, con le discriminazioni
sessiste, con le ingiustizie che favoriscono chi detiene il potere decisionale
ed il suo entourage e con la corruzione.
Ma la lezione più importane Nicola la imparerà sulla sua pelle, nel
momento in cui sentirà il bisogno di urlare tutta la sua rabbia nei confronti
di quel sistema bieco e corrotto, quando non ce la farà più a stare a guardare.
Sarà proprio in quel momento che lascerà il lavoro, schiacciato dal vile
meccanismo del mobbing, ossia quell’insieme
di comportamenti meschini e codardi che costringono i lavoratori, vittime di ricatti psicologici,
soprusi e vessazioni alle dimissioni volontarie.
E della fabbrica, quel luogo che
“si continuava ad avere dentro anche quando se ne era
fuori”, resta solo un’ ultima immagine, rubata dalla finestra dello
spogliatoio: è il panorama delle macchine, “quelle di grossa cilindrata dei
manager, parcheggiate sotto l’entrata principale- nel settore riservato- e
quelle degli operai, sparpagliate a spina di pesce al centro e intorno all’area
perimetrale”.
In questo piccolo capolavoro di
denuncia scritto nei ritagli di tempo, Francesco Dezio tiene il diario disilluso di un giovane alienato
dalla catena di montaggio in una fabbrica,
che come Dezio stesso scrive nella postfazione “non
esiste nella realtà”, ma è “la fusione molecolare del
peggio che ho visto e che ho sentito”. Ed ecco come la
scrittura diventa un bisogno: e mentre loro “mi comandano, mi sfottono, ci
litigo, mi minacciano, mi licenziano – io scrivo”. E raccogliendo il grido di
dolore di un’intera generazione di precari, lavoratori di
serie b costretti alla calma ed al silenzio Francesco Dezio scrive, anzi “scrive tutto” perchè “loro hanno
abusato di me due anni a formazione. Io abuserò di loro in eterno, punto e
basta.”
Voto
7