Correva l’anno di grazia 1979
quando fece la sua comparsa tra gli scaffali delle librerie americane Un pezzo da galera,
un romanzo di Kurt Vonnegut
ora riedito da Feltrinelli in Italia ma sempre sorprendentemente attuale a un quarto di secolo dalla prima pubblicazione. Anzi,
passando dal caso Watergate ai mille guai
dall’amministrazione Bush, sarebbe curioso poterne leggere la romanzesca
metabolizzazione che Kurt
Vonnegut ne offrirebbe, non fosse
che lo scrittore originario di Indianapolis, classe 1922, noto ai più
per Mattatoio n. 5 e La colozione dei campioni, nel 1997 ha annunciato che Timesquake sarebbe stato la sua ultima fatica narrativa.
Peccato, perché rileggendo Un pezzo da galera ogni pagina trasuda di irresistibile ironia e di energia affabulatoria:
lo scandalo Watergate è riletto dalla prospettiva
divergente del meno noto dei suoi cospiratori (anche perché involontario capro
espiatorio), Walter F. Starbuck, un ex burocrate di
solida formazione harvardiana che impariamo a
conoscere proprio nel giorno in cui abbandonerà le patrie galere per un futuro
incerto che lo attende a New York, in cui solo un diploma di baristeria acquistato durante la sua permanenza dietro le
sbarre potrà tenerlo lontano da un possibile destino da barbone. Ma perché un
tranquillo funzionario laureato ad Harvard è finito in
carcere? Forse per il fascino esercitato su di lui in gioventù dal Comunismo,
forse perché Walter F. Starbuck, inviato come
militare in Germania nel dopoguerra a fare il burocrate, aveva sposato un’ebrea
sopravvissuta per miracolo all’Olocausto, forse perché tornato in America, in
piena caccia alle streghe, aveva rovinato un suo vecchio amico, un tempo
comunista, deponendo davanti alla famigerata commissione McCarthy, di cui
faceva parte un giovane politico destinato a diventare presidente degli States qualche anno dopo, tale Nixon. Riesumato come
burocrate di seconda fila durante l’amministrazione Nixon, il nostro Mr. Starbuck acquista così un incarico trascurabile con un
ufficio senza finestre alla Casa Bianca, per l’appunto proprio sotto ai piedi di coloro che stanno architettando a sua insaputa
il caso Watergate, in cui lo tireranno in ballo
artificiosamente e per il quale, incriminato, Walter F. Starbuck
finirà in galera, causando la prematura fine dell’amata moglie, l’interruzione
dei rapporti (peraltro già quasi minimi) col figlio e la fine della sua
carriera. Tutte queste notizie e molti altri aneddoti sul background esistenziale
Kurt Vonnegut
ce li fa conoscere aprendo estemporanee parentesi narrative o tramite flashbacks, talvolta Un pezzo da galera prefigura
addirittura che il destino del nostro sfortunato antieroe senza qualità dovrà
incredibilmente risollevarsi, e si diverte perfidamente a cospargere di indizi la storia nel suo farsi, indizi che ovviamente
acquisteranno definizione soltanto nell’incredibile finale a sorpresa, in cui
Mr. Starbuck tornerà a vestire i panni del burocrate
come vicepresidente di un colossale trust di compagnie americane. In mezzo Vonnegut ci intriga raccontandoci una miriade di fatti
storici talora apparentemente senza niente in comune, dall’assassinio di Dillinger
al massacro degli operai a Cleveland nel 1894, dal caso di Sacco e Vanzetti a squarci della Grande Depressione degli anni
Trenta, dagli aneddoti della presidenza Nixon alle curiosità relative
al processo di Norimberga. Fino al finale a sorpresa, in cui le
molteplici fila della ragnatela del romanzo troveranno un incredibile
baricentro per spezzarsi un attimo dopo...
Kurt Vonnegut,
Un pezzo da galera, Milano, Feltrinelli, 2004; pp. 248
Voto
8
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