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Miroslav Krleža
Il ritorno di Filip Latinovicz
Un vero romanzo esistenzialista. il pittore pannonico Filip è tornato: l'entusiasmo di Sartre
Anno di pubblicazione 2009, collana I Fuochi, casa editrice: Zandonai ISBN: 8895538102. ISBN-13: 9788895538105

 




                     di Sandro Damiani


A ventitre anni di distanza dalla prima uscita in italiano - era il 1983, quando Studio Tesi di Pordenone lo dette alle stampe, con la traduzione di Silvio Ferrari - Il ritorno di Filip Latinovicz di Miroslav Krleža, fa il suo reingresso nel mercato librario italiano. Il merito è della Zandonai di Rovereto, agile casa editrice trentina, assai sensibile a quelle voci che si collocano a cavallo delle frontiere fra stati, lingue, culture, generi. E lo fa con spirito, oserei dire se il termine non fosse fin troppo abusato, missionario. Ecco quanto si legge nell’autopresentazione del catalogo: “Animata dall'idea di sconfinamento, la casa editrice Zandonai intende contribuire al dialogo fra culture e discipline differenti attraversando ed esplorando con la passione del racconto territori, saperi e generi letterari. Lo scopo è quello di comporre un catalogo dove letteratura e arti visive, filosofia e architettura, storia e politica si intreccino fra loro e disegnino nuove mappe interpretative. Libri capaci di tessere una rete che afferri e ospiti - pur nel rapido flusso che oggi caratterizza le varie forme della cultura - le nuove e complesse manifestazioni della realtà che ci circonda”.

In parole povere una sfida niente male, in un momento in cui la rete, quella telematica, sembra fare il vuoto tra i lettori. Ma, appunto, sembra, perché (lo dicono varie ricerche effettuate sul campo) il numero dei lettori, al contrario, non sta affatto scemando. Sulla rete infatti, la cosiddetta navigazione a 360 gradi dettata da curiosità e da un vagare senza meta o come mosche impazzite è prassi iniziale, dettata dalla curiosità, ma poi subentra il gusto della ricerca e della lettura, e quasi sempre si tratta di letture comparate. Ciò non toglie che per una casa editrice di oggi, che, peraltro, in catalogo non ha banalità che le permettano di fare «poggio e buca», di grande scommessa si tratta, vista l'aria da basso impero che si respira un po' ovunque.

Per concludere con l'Editore e venire al nostro romanzo, ricorderò solo alcuni dei nomi che danno lustro agli amici trentini (siamo amici di chiunque si occupi di libri!): da Balzac a Schelling, da Christine Lavant a Walter Friedrich Otto, da Gropius a Forti, da Vigolo a Heiner Muller, nonché una vasta schiera di autori, diciamo così ex jugoslavi - sloveni, croati, bosniaci, serbi ed israeliti slavo - meridionali, tra cui Pahor, David, Albahari, Veliki, Velikovi, Brina Svit, mentre sono in uscita Jergovi, Ti’ma, Kova e l'attore e poeta Rade Erbed Ija...

A differenza della precedente edizione, questo «Ritorno di Filip Latinovicz» presenta due interessanti novità. La prima è costituita dalla prefazione del più' noto saggista di quelle terre in Italia: Predrag Matvejevi, già autore di uno stupendo libro-intervista con Miroslav Krleža  alla fine degli anni Sessanta (metterlo in circolo, tradotto, sarebbe un ulteriore contributo al fine di farsi una più approfondita conoscenza dello scrittore di Agram e del clima culturale e politico della Jugoslavia dell'epoca. Matvejevi ripercorre in sintesi la lunga e non poco travagliata esistenza del Krleža , menzionandone gli incontri e gli scontri politici, culturali, ideologici; con il che aiuta il lettore a meglio comprenderne il pensiero e la collocazione.

La seconda novità, invece, oltre a dare al romanzo una dimensione a dire poco immensa, dovrebbe portargli in dote un non indifferente numero di lettori in più. Sto parlando della frase, pubblicata in quarta di copertina, che il più grande filosofo del Novecento, Jean Paul Sartre, disse allo scrittore zagabrese al loro primo incontro nel 1960: Il suo Filip Latinovicz, pubblicato sei anni prima del mio romanzo “La nausea”, se fosse stato tradotto in francese qualche anno prima, mi avrebbe provocato l'accusa di plagio. Perché Latinovicz è un vero romanzo esistenzialista, che lei ha scritto prima e meglio di me. Frase che, detta dal padre dell'Esistenzialismo, in teoria gli dovrebbe spalancare porte su porte....

Ebbene, rileggerlo a distanza di tanti anni (e in età, ahimè, più che matura) in una lingua che mi e' più congeniale dell'originale, che comunque conosco a menadito, non può non farmi dire di essermi (ri)trovato, in effetti, al cospetto di un grande romanzo esistenziale, nato oltre tutto non nella Parigi sul finire dei Trenta, ma nella Pannonia degli inizi di quel decennio, con tutto ciò che ne deriva e consegue in tema di clima, frequentazioni, echi, abiti mentali. Del resto, non è per caso che il Latinovicz ha conosciuto decine e decine di traduzioni (credo in oltre quaranta lingue) in tutta Europa e nel mondo.

Ma nella Jugoslavia ? monarchica e con la sinistra fuorilegge - dell'epoca, come venne accolto?

Silvio Ferrari, che definire solo come traduttore, quantunque straordinario, è non rendergli il giusto merito (mi permetto di suggerire la lettura, almeno di “Il dio Marte croato”, “Michelangelo Buonarroti” e “Le Ballate di Petrica Kerempuh” tutt'e tre del Krleža ) scrisse nella prima introduzione: Il romanzo ha avuto vasta, immediata e durevole eco nell'allora Jugoslavia, diventando un'opera ?esemplare?, un testo paradigmatico della creatività krležiana e, inevitabilmente, un modello letterario nazionale per le sue implicazioni narrative e stilistiche, e per gli sviluppi successivi della letteratura di quel paese?. Si tenga presente che già' Miroslav Krleža ra la personalità letteraria e teatrale più importante del Paese: amato-odiato nel suo campo ideale e ideologico (una sinistra trinariciuta) e semplicemente avversato dai vari mondi etnocentrici e dalla chiesa. Quanto alla suddetta esemplarità, scrive il Ferrari che essa è doppia. Da un lato l'avvenuta acquisizione da parte dell'Autore di tutti gli strumenti espressivi della letteratura europea a lui contemporanea; dall'altro l'aspirazione a inserire in quella stessa letteratura tutti i fermenti originali e autoctoni di quel magma primigenio, torpido e ostico che costituisce il cuore del libro: la brutale, antica novità pannonica, non riconducibile al corso razionale della storia, ostinatamente inerte, tragica perché da sempre esclusa da qualsiasi sommovimento. Vale a dire il mondo contadino che, sostiene Krleža, si estende dalla Pannonia alla Siberia e giace nelle paludi da millenni, palude esistenziale a propria volta, falciato periodicamente da pestilenze e guerre di rapina, senza mai opporre resistenza al corso degli eventi.

Nella postfazione, Ferrari, quasi (anzi senza quasi) si scusa per avere sottovalutato, quando scrisse la presentazione dell'edizione del 1983, nell'avvertenza al lettore italiano, la qualità e la valenza autonoma dei personaggi necessari a intendere la natura malata e fragile dell'uomo Filip soprattutto nel suo rapporto con il mondo e con l'universo femminile (...).. E aggiunge: (...) ero rimasto condizionato da una specie di assillo, quello di mostrare a ogni costo la parentela di Krleža narratore e romanziere con i maggiori esponenti della letteratura europea occidentale. Anche per evidenziarne una sorta di affinità precoce, persino profetico-intuitiva, come nel caso del tema dell'alienazione e dell'angoscia esistenziale. Caro Silvio quante volte ne abbiamo parlato... - non sono gli scrittori a mancare agli appuntamenti, specie quando si tratta di grandi scrittori; ma le società' letterarie e gli editori. Se Krleža è arrivato in Italia con mezzo secolo di ritardo, lui non ne' ha colpe. Del resto, quanto ci hanno messo Svevo e Tomasi Di Lampedusa, che ancora oggi non pochi ambienti letterari e accademici del Belpaese considerano poco italiani!

Voto 8 

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