Quanti nemici per un uomo solo. Ma stavolta per Enrico Brizzi sono davvero troppi. E troppo decisi a demolirlo. Il suo ultimo romanzo, Tre ragazzi immaginari (edito da Baldini&Castoldi) si è beccato qualche stroncatura dura, durissima. L'ultima in ordine di tempo è quella firmata da Antonio D'Orrico su "Sette", dove il piccolo e ribaldo genio di Jack Frusciante è uscito dal gruppo viene definito "scrittore immaginario" nel senso che, scrive il critico, "non racconta nulla". Sì, d'accordo, al pubblico piace: il romanzo vende, i fan dichiarano a Brizzi il loro incondizionato affetto, lo vedono come punto di riferimento nelle burrasche dell'adolescenza. Ma a lui tutto questo non basta: è un duro colpo, per uno scrittore che con il suo esordio fu coccolatissimo dalla critica più severa, sopportare un voltafaccia così peso.
All'inizio, quando gli si chiede come l'ha presa, lui tira fuori gli artigli del gradasso: "Tutte le stroncature le tengo nella tasca dietro dei jeans, per evitare pugnalate al sedere". Anche se, naturalmente, sedere non è proprio la parola da lui usata. Però poi aggiunge: "C'è una volontà, da parte della critica più vecchia, di tirar manate a tutto quello che si muove, che ricerca, che non si adagia sugli allori. C'è puzza di premeditazione, di stroncare per stroncare: si distrugge senza dar consigli. Aveva ragione Tondelli, quando lamentava la mancanza di una generazione di critici giovani, d'età e di mente". Eppure in questo libro Brizzi, dopo il cattivismo sanguinolento di Bastogne, ha buttato giù la maschera e si è raccontato fino a spellarsi. Perché Tre ragazzi immaginari, oltre a una storia d'amore e di bagordi adolescenziali, è anche un autoconfessione a cuore aperto: nelle ultime pagine il protagonista (che poi è proprio lui, Enrico Brizzi, nome e cognome) si guarda indietro, ripercorre l'arrivo improvviso del successo, dei soldi, le lettere delle fan con i brillantini appiccicati e le parole d'amore, il voltafaccia degli amici "duri ma puri" dopo il suo intervento al Maurizio Costanzo Show.
La sua adolescenza si è consumata così, di gran carriera, tra molti lustrini e vuoti a perdere: "Non capita a tutti, da un giorno all'altro, di incontrare la gente per la strada che non ti chiede come va e parla di cose normali, ma ti dice 'oh, ho letto di te sul giornale'. Non capita a tutti di ricevere telefonate di persone che ti dicono che sei tutto per loro. Sono cose pazzesche, tremende". Così, ha deciso di esorcizzare la crisi sulle pagine e, insieme, di celebrare la fine dell'adolescenza scegliendo, come acida scenografia del romanzo, un carnevale bolognese a ritmo di reggae, un megarave che segna un dionisiaco passaggio della linea d'ombra: oltre, c'è la presa di coscienza del dolore, della morte: "Con Tre ragazzi si conclude una trilogia sulla giovinezza, sui suoi cardini: l'amore in Jack Frusciante, il pericolo della rabbia in Bastogne, l'inquietudine nei confronti del futuro nell'utimo romanzo". I conti con gli anni verdi sono in apri, dice Brizzi. Chiusi. Dal prossimo libro cambierà tutto, "in questo momento sono aperto a ogni impulso possibile". Nel frattempo ordisce nuovi progetti con i De Glaen, la noise band fiorentina con la quale ha fatto tournée, "un disco, probabilmente"; si gusta le sue parentesi a Firenze "dove ho amici con cui posso davvero scambiare confidenze metropolitane. Dei ragazzi di questa città mi piace l'impegno nel mantenere lo standard qualitativo di ciò che fanno - a costo di rimetterci - e l'approccio idealista e allo stesso tempo pragmatico alla vita. A Bologna tutto questo non c'è più". O meglio, questo senso di appartenenza, di condivisione rimane nel calcio: per questo Brizzi si dichiara "se non proprio ultrà, tifoso tenace" dei rossoblù. Così tenace che li segue ovunque, insiemei ai suoi inseprabili compagni di alè oò..Enrico Brizzi, Tre ragazzi immaginari, Milano, Baldini & Castoldi, 1998
Voto
8-
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