Un libro provocatorio, post moderno e al tempo stesso poetico, di una poesia
disperata, che in qualche modo fa (con le dovute differenze) tornare in mente
la provocazione di quel Porci con le ali di Marco Lombardo Radice
e Lidia Ravera, che dette il via nel 1976 alla stagione del
riflusso, del recupero del privato (e della sessualità), rispetto a un politico
vissuto, ai tempi, con qualche sbaglio, con troppe iperboli. Ma l’indovinato Belle
anime porche, va oltre gli schemi generazionali e apre i riflettori su un
mondo marginale e selvaggio che vegeta (e si scatena) accanto alla società di
oggi, di ieri e, ci auguriamo non sia, di domani. Problemi già affrontati con
la stessa determinazioni anche in passato, basta ripensare alle baraccopoli dell’Accattone
pasoliniano. Ma torniamo al libro, che narra di una delirante fiaba no
future, con un senso di autodistruzione che batte e freme talmente forte da
farti palpitare a ogni pagina. Un universo alieno da qualsiasi moralismo, calato
perfettamente nella realtà metropolitana di qualsiasi città.
Capita
raramente, anche leggendo gli ultimi lavori di scrittori di grido, di lasciarsi
travolgere da un gorgo narrativo irruente e coinvolgente come quello di Francesca
Ferrando. Una scrittrice birichina e decisamente pulp questa torinese che, con il suo
romanzo, anzi roman-zoo, di debutto crea spunti per una riflessione
contemporanea assolutamente non stereotipata. Può
sembrare assurdo o crudele, ma la parabola della sedicenne Terry è spregiudicatamente attuale. Basta sintonizzare lo sguardo intorno a una stazione per renderci conto quale estrema umanità popola i dintorni, basta pensare di scappare senza soldi e non sapere dove andare, per scoprire quante poche prospettive ha il nostro perbenismo. Su queste contraddizioni scava la Ferrando. E lo fa benissimo, senza pietà
con ritmi serrati e un immaginario post punk sferzante. La
sessualità diventa un mezzo e un rifugio per non pensare o meglio per pensare
ad altro. Lo stesso vale per droghe e alcool, che fluiscono in quantità rocambolesca
fra le pagine, rendendo ebbra ogni riflessione, scatenante ogni scommessa di
vita, che regolarmente viene disattesa dalla protagonista dal nome da criceto. Di
grande spessore le descrizioni dei paesaggi umani, dalla vita del nucleo familiare
di Terry, che sembra specchiarsi nei sobborghi della provincia americana, agli
sprazzi di vita di coppia o quelli nelle varie e disperanti comunità con cui fa
i conti. Oscenità e furore per una sedicenne senza speranza che va incontro a
se stessa con la foga cinetica di Lola corre, con la
furia iconoclasta di un Sid Vicious di
periferia che non trova pace. E per questo si distrugge, ma non si lascia
distruggere dagli altri.
Troppo
veloce per vivere come gli altri, troppo disillusa per lasciarsi convincere a
cambiare strada, Terry si trova a frantumare regolarmente ogni speranza. Meglio
ladra, barbona, puttana, puttaniera, mogliettina, lesbica, detenuta, che
massificata. E del resto è impossibile e
assolutamente non credibile che una giovane donna nata (e vissuta) in una
jungla urbana e umana trovare pace nel tran tran quotidiano. La grinta, il
furore esistenziale sono il suo copyright. Non potrebbe essere diversamente in
questo pazzo viaggio a perdifiato sulla strada che non auguriamo a nessuno di fare!
Voto
8