Diciamocelo chiaramente: se sognate un’epopea alla “On
the Road”, le autostrade italiane molto difficilmente potranno farvi vivere
quelle atmosfere.
Altro che highway americane, sconfinate strisce di asfalto che si
distendono a perdita d’occhio, circondate dal niente, cosicché l’occhio si
perde e il cuore si mescola ai colori del cielo!
Italia. L’Autostrada del Sole
avrà pure un bel nome, ma tutta questa sconfinatezza
proprio non ce la vediamo. Certo, alcune volte le
tristi conurbazioni, i non-luoghi come gli autogrill, le serre e le
coltivazioni di carote sono interrotti da suggestivi paesaggi perlopiù
montanari e boschivi, ma più che On the road fanno “Paperino, Topolino e Pippo
in vacanza” (sapete, quell’episodio dove tutti e tre
organizzano un viaggio in roulotte…).
E allora una delle poche alternative tricolori alle highway
americane, uno dei rari tratti asfaltati dove si respira quel genere di poesia
beat è la Statale
163.
La Statale 163 ha
anche un altro nome, oltre a quello ufficiale e allo sbrigativo “strada di
Positano”, ed è Nastro Azzurro (niente a che fare con birre di sorta, è perché
si affaccia sul mare) così come altre due strade nei paraggi sono state
rinominate Nastro D’Oro (si tratta di una zona molto
assolata) e Nastro Verde (perché si inerpica sulle montagne boschive). Il mare
di cui parliamo è il Tirreno, il Nastro azzurro collega
infatti le varie località della Costiera Amalfitana,
da Vietri sul Mare
passando per Positano fino a Meta, ed è lo stesso mare che ogni mattina i tre o
quattro venditori di peperoncini piccanti & limoni salutano prima di
sistemarsi nella proprio chioschetto-bancarella posizionata nelle piazzole
panoramiche di quella strada dagli innumerevoli tornanti.
Ok, qui una domanda sorge spontanea, cosa c’entra quest’immagine un po’
turistica di mare, limoni e peperoncini con le leggendarie higway che tanto
profondamente si snodano nelle viscere dell’America?
Ecco, adesso c’è proprio bisogno di un’equazione matematica, giusto per dare
delle fondamenta scientifiche alla cosa: si può dire
che la
Statale 163 sta alla Route
66 come i western americani stanno
agli spaghetti western. Scommetto che
per Sergio
Leone non avete pensato di usare nemmeno lontanamente l’espressione
“palliativo casereccio”, giusto? Bene, allora non fatelo nemmeno in questo
caso, ‘a quel paese la
matematica!
Tutt’al più potreste, a ragione, muovere qualche obiezione sulle curve.
Già, cos’hanno a che spartire le famigerate curve che
rendono tanto caratteristica questa strada con la metafisica linearità delle
higway?
Oh, ma questo è il particolare più importante! E’ come il
fischio nella colonna sonora di Morricone,
è la principale ragione per cui i motociclisti la
eleggono per reinventare il loro Easy Rider personale.
Il sito motogatti.it indica questo itinerario
come “Le
curve della divina Costiera Amalfitana SS163”, quasi a voler fare assonanza
con il “Sentiero degli dei” che si snoda invece quasi parallelo sulle montagne.
Dice:“La SS 163 è sicuramente una delle
più belle strade d'Italia! Una serie interminabile e continua
di curve, il tutto racchiuso in una carreggiata stretta, anzi in alcuni punti
strettissima. Da un lato il mare a strapiombo, dall'altro le pareti
delle colline, il tutto immerso in un paesaggio unico e meraviglioso.” Ancora più evocativo è Roberto
Mussapi sul mensile
Riders:“La strada stretta è premuta tra
cielo e mare. Strada che sembra chiamare il vento. Chi
la tracciò, secoli e secoli fa, aveva già chiare in
mente la motocicletta e il cabrio” mentre si legge
sul sito del BmwgsClub:
”Alle spalle coltivazioni digradanti verso il mare, disperse tra la
macchia mediterranea incorniciate da muretti a secco; di fronte uno specchio
blu cobalto, dove perdersi in riflessioni e bagni di piacere. Questo è in
sintesi la Costiera Amalfitana, che percorre volentieri in sella alla moto,
assaporando nel vento il gusto della salsedine, sostando nelle cittadine grandi
e piccole e sfuggendo alle ire del traffico”
Su internet diari della motocicletta (pure della bici in qualche caso) su
quest’itinerario, spesso corredate di qualche foto e di indirizzi
di ristoranti in zona, si sprecano.
Quel che è vero però è che la Statale
163 non è mai stata adeguatamente celebrata né dalla cultura né dalla
controcultura, che pure aveva fatto di Positano
luogo di elezione. Intellettuali alternativi, poeti, rockstar, registi e
hippy dai trascorsi turbolenti in cerca di un po’ di pace; a quei tempi sulla
spiaggia si aggirava un certo Gregory
Corso, quello a cui i positanesi davano pacche
sulle spalle quando lo incrociavano per strada e lo
chiamavano quale fido compagno di bevute:“Gregory, à Gregory vien’ cà!”.
E poi Peter Thompson, Ibrahim Korda, Susan Sarandon,
Mick Jagger, Siouxie, Nureyev, Massine, Steinbeck, Tennessee Williams,
Rossellini; i locali parlano ancora di questi personaggi come di vecchi amici,
percependone “l’aura” ma non potendo proprio fare a meno di prendersi tutta la
confidenza che chiunque abiti nei pressi di Napoli si prende senza troppe
remore.
Una menzione speciale spetta però a
Vali Myrer, l’artista australiana che nel ’52 si istallò nel Vallone Porto, oasi
incontaminata (non si sa ancora per quanto visti i recenti progetti di
“cementificazione”) nei pressi di Arienzo, quindi siamo sempre sulla nostra
Statale, non temete.
E’ qui che Vali trovò l’ispirazione per i suoi
psichedelici, sorprendenti dipinti popolati da animali di tutti i tipi e donne
lisergiche, finché, a metà degli anni ’60, in seguito all’uscita di un documentario
americano che la vedeva protagonista (“The
Witch of Positano” di Sheldon Rochlin),
divenne una sorta di leggenda per la generazione psichedelica, ambientalista e
affascinata dal richiamo di una vita primitiva simile a quella che lei
conduceva: una cascina, niente elettricità né acqua corrente, spiritualità, henne
e natura selvaggia.
Eppure, nonostante tutto, nemmeno una piccola canzone sulla
strada complice di tanto viavai!
E’ vero, ci hanno girato un’infinità di pubblicità (Volvo,
Mastercard e Breil tra le più recenti) ma non è la
stessa cosa!
A pensarci però non sarebbe la
stessa cosa comunque, se non altro perché, pure fermandoti
a mangiare con tutta calma e digerendo lentamente, più di una giornata a
percorrere qui 50 km non ce la metti. Oh beh, in tal caso poco male, meglio così anzi: è bello fare
il beatnik
per un po’, poi però farlo per troppo tempo pure è faticoso!
Voto
9