Le grandi mura a spiovere ci proteggono. E’ come una
calda e grossa mano che tiene nel palmo un uccellino, un cucciolo, un bambino.
Stai lì dentro e sai che niente può accadere. Sono spesse ed accoglienti queste pietre roventi, questa porta immensa che apre la visuale e
immette, immerge in un altro mondo. E sembra di sentirli i mandolini e le cetre
e di vedere i colori dei giullari, i nastri e i pendagli delle dame, le
armature dei cavalieri, il fiato che sbuffa dei cavalli, i loro zoccoli
ferrati, le briglie in cuoio.
Si respira a pieni polmoni la Storia. Quella con la esse maiuscola. Le mura sono solide. Una volta dentro ci
si sente piccoli, come sotto l’ala di un pellicano, come accovacciati nella
bocca di un ippopotamo. E’ un afflato diverso questa brezza che fa il giro, si
piega sul bastione e scende nella grande aia, nel cortile centrale,
nell’immenso spiazzo che era mercato. Voci.
I merli ci guardano dall’alto, le bandiere svolazzano
e sembrano danzare, leggere come i petali carnosi delle rose a fianco dei
filari con quel tocco naif e sensibile, sincero e sicuro, estetico e cromatico
che fa esclamare un “Finalmente” dal
cuore.
Sassi, tegole, mattoni, pietre che lasciano una cipria
rossastra sui vestiti, lieve bava di lumaca, polvere di stelle che s’alza ad ogni passo di sfibrati camminatori ignari di città
d’asfalto. I colpi delle suole quasi generano una piccola eco, un rimbombo, un
tonfo sordo che sembrano aggiungersi a tutti quelli che ci sono stati, a tutti coloro che sono passati, una o mille volte, nelle varie
epoche su questi grossi ciottoli levigati e lisci.
Siamo piccoli davanti alla magnificenza ed alla
potenza della Storia. Terra da toccare che dona frutti prelibati e generosi,
succhi rossi rubino, come chicchi di melograno, pietre solide che restano e resistono al cambiamento dei governi, ai mutamenti delle
nazioni, alla stupidità umana, un cielo terso sopra che sembra fatto apposta di
pastelli da putti pittori provetti e freschi.
E’ tutto qua. E’ un cammino, è un andare, un
incamminarsi, con i polpastrelli della memoria pronti a prendere come spugne,
con i tentacoli della mente attenti a non lasciarsi sfuggire alcun particolare.
E lasciarsi, finalmente, perdere in un piccolo mondo antico, scordarsi
alle spalle l’oggi per vivere di passioni eterne
Dentro il castello di Montalcino
questo è ancora possibile. Con un calice di rosso sopra la
torre, governando la vallata, strizzando gli occhi cotti dall’abbacinio del sole, guardando le dolci colline come
meringhe giallognole e chiamarsi, sorridendo, a vicenda, per tutto il giorno
Brunello.
Come l’anziano allegro, dai modi gentili e dai pomelli
rubicondi che abita sul mio stesso pianerottolo.
Voto
8