Udine Far East Film 9
Hong Kong & Cina
Corea del sud Vs. Giappone
In questa edizione,
possiamo dire che la selezione coreana ha rappresentato le sorprese migliore a
discapito della parte giapponese, a mio avviso, servita male e con scelte di
titoli infelici che fanno pensare ad un impasse della cinematografia del Sol
levante, ma ovviamente non è così. In questo scontro ravvicinato, il vincitore
risulta la Corea del sud, perché le opere accreditate al festival attingono ad una cerchia ben
ristretta e sembra oculatamente ragionata, dopo le pessime commedie propinate
negli anni passati. Il film giapponese d’apertura, Dodoro, purtroppo presenta
tutti i difetti del caso nell’adattare un fumetto per lo schermo, dove un
samurai guerriero è costretto a lottare contro 48 demoni per riacquistare
altrettanti sezioni del suo corpo. In questo film diretto da Shiota Akihiko, l’idea
di spettacolarità cozza con una rappresentazione smorta dei personaggi e
dell’incapacità di servire l’azione adeguatamente, puntata all’accumulo delle
situazioni senza precise istanze di regia. Ma non meglio è servito il piatto
successivo con Death note e il seguito Death note: the last name di un
artigiano come Kaneko Shusuke, ispirato al manga di successo di Obata Takeshi, nel propinarci un misto tra
poliziesco e fantasy, in una confezione incolore, non supportata da un respiro
innovativo come avrebbe potuto fare un Miike ispirato. Kaneko segue la traccia
della storia, senza mordere lo spettatore, ma illustrando pallidamente il
susseguirsi degli avvenimenti, come se fossimo davanti alla televisione. Peggio
ancora è Sakuran di Ninagawa Mika, coloratissima e ruffiana rievocazione del
quartiere a luci rosse di Yoshiwara nel periodo Edo, nel raccontare l’esistenza
di una Oiran ( cortigiana di alta classe ), dove non c’è una minima ispirazione
di fondo che sprigioni un significato cinematografico dell’operazione, come un
involucro vuoto e noiosamente protratto fino alla fine. Di sicuro non salva le
sorti della selezione giapponese Sinking
of Japan di Highuchi Shinji, film catastrofico onestamente efficace nella
sua diramazione di genere, che si segue senza colpo ferire, ma almeno è
qualcosa. Bottino migliore con la
Corea del Sud, grazie A
dirty carnival racconta l’ascesa di un piccolo gangster e del suo gruppo
nel mondo della malavita, tra sangue e vendette. Byung-doo (interpretato dal
divo dei drammi televisivi Zo In-sung), è un criminale di carriera
ventinovenne, che lavora per il delinquente di medio rango Sang-chul. Oppresso
dalle preoccupazioni per la madre malata, Byung-doo avverte la pressione
finanziaria su di lui come fosse un sostituto patriarca. Quando il grande capo,
il presidente Hwang viene messo con le spalle al muro da un pubblico ministero
corrotto, Byung-doo si offre di fare la pelle a quest’ultimo, e si conquista la
fiducia del capo. Intanto il suo amico Min-ho, un aspirante regista, gli chiede
di fare da consulente per il suo primo film, una storia di gangster non molto
diversa dalla sua. L’intervento metalinguistica de “il film nel film” è
funzionale alla costruzione drammatica della storia e del destino del
protagonista, tracciando dettagliatamente il suo percorso emotivo. Un film di
scorsesiana memoria bello e ben ispirato dalla regia di Yoo Ha, autore in
ascesa. The
Host di Bong Joon-ho, prima di tutto è un film sulla famiglia. Hee-bong è
il proprietario di un piccolo chiosco di snack all’interno del Parco cittadino
sul fiume Han. Gang-du è uno dei suoi tre figli, un uomo il cui unico scopo
nella vita è l’adorazione per la figlioletta in età scolare, Hyun-seo.
Completano la famiglia Nam-joo, una campionessa di tiro con l’arco e il
fratello Nam-il,un ex studente contestatore, ubriacone e disoccupato. È un
gruppo disfunzionale, tenuto insieme solo dalla crisi da affrontare, ma le
dinamiche familiari appariranno ben note lungo la loro avventura. Quando una
creatura mostruosa ghermisce la giovane Hyun-seo, la famiglia si schiera contro
questa sconosciuta minaccia. Tuttavia le difficoltà di questo nucleo è superare
le avversità del governo ( infatti principali colpevoli della nascita del
mostro, sono militari americani ) più che quelle della creatura amorfa, che
agisce rispondendo ai suoi bisogni naturali. Il regista si sofferma maggiormente
sulle dinamiche interne ai rapporti familiari, nel riscatto personale dei tre
fratelli, che avviene in questo scontro titanico con il mostro, in una forma di
redenzione dai loro fallimenti passati, acquistando una nuova coscienza e
maturità anche nel dolore intrinseco della perdita del loro padre. Un grande
film da recuperare immediatamente. The restless di Cho Dong-oh, da vita ad un
fantasy, in cui un guerriero dai poteri di veggente, viene catapultato nel
mezzo paradiso, dove ritrova la sua amata e dovrà combattere una battaglia per
scacciare i demoni dal cielo, in una confusione tematica debordante, dove non
si coglie appieno il senso del copione e ridicolmente esposto ad una
sovraesposizione di effetti fine a se stesso. Curioso Righteous
ties di Jang Jin storia di un gangster devoto al suo capo che si fa
imprigionare dopo un ultimo sporco lavoro, e rispettando il codice d’onore non
parla. Scoprendo poi, che il boss lo tradisce alle spalle, alla prima
possibilità di fuga non esisterà a vendicarsi. Jang Jin ha sempre effettuato nei suoi lavori i cambi
d’atmosfera, tra dramma, commedia e azione in questa ultima opera la sua
creatività si nota nella prima metà spensierata del film, dove si dimostra in
grado di cambiare situazione sullo sfondo della prigione, con variazioni di
toni spudorati poi dopo la fuga il film si incanala in un direzione scontata,
non meno efficace ma meno puntigliosa e inventiva. Tirando le somme, il Giappone
ha sofferto scelte indubbiamente infelici, mentre quest’anno si è corretto il
tiro per quanto riguarda la
Corea del sud, ma come sappiamo le sorprese potrebbero
arrivare nella decima edizione del Far East Film, ormai appuntamento
immancabili per chi vuole conoscere da vicino il cinema di queste due nazioni.
Voto
8