Far East Film7: presentazione del festival 2005
Far East Film7: Hong Kong & Cina
Far East Film7: Corea del Sud
Far East Film7: Giappone
Dal Giappone non possono che arrivare delle conferme, e
questo oramai è un fatto assodato, anche perché la cinematografia del Sol
Levante è una delle più produttive ed innovative a livello mondiale. Per questa
edizione, i riflettori sono stati puntati sulla retrospettiva dedicata ai film
di genere della Nikkatsu, tanto amati da Quentin Tarantino. L’etichetta
della casa produttrice da il senso della retrospettiva: Nikkatsu Akushon ( che tradotto significa “azione” ), che evoca la capacità di dare
vita a pellicola, tra gli anni cinquanta e sessanta, di chiara matrice
hollywoodiana, ricalcando sia lo stile divistico che la riproduzione quasi
pedissequa dei generi per eccellenza degli americani, come il western e il
noir. Diciamo subito che la Nikkatsu è lo studio più vecchio del
Giappone, ed è stato fondato nel 1912, diventando progressivamente una fucina
di talenti come: Mizoguchi Kenji,
Ito Daisuke, Uchida Tomu, dimostrando una vitalità produttiva nei diversi campi
della cinematografia. Tra i film presenti tra la selezioni dei sedici titoli,
spicca sicuramente il bizzarro Black Tight Killers di
Hasebe Yasuharu, con al centro un giornalista di ritorno dalla guerra del Vietnam, che porta a cena una
bella hostess, ma prima che si concluda la serata viene rapita. All’improvviso
appaiono un gruppo di ragazze in calzamaglia nera che la salvano, uccidendo il
rapitore. Alla fine si innesca una serie di colpi di scena conditi con doverose
scene comiche e un gusto scenografico che riecheggia una spensieratezza pop,
piacevolmente demodé. Il problema dei film della Nikkatsu,
che sono importanti per comprende la storia del cinema giapponese di
genere, risultano essere ripetitivi
nelle forme contenutistiche e nello svolgimento, rendono pellicole come: Tales of gunman: quick-drawn Ryu di
Noguchi Hiroshi, Crimson Pistol di Ushihara Yoichi, The Velvet Hustler di Masuda Toshio, similari e privi
di mordente creativo. Per non parlare del western giapponese Plains Wanderer di Saito Buichi, pacchiano e
innegabilmente senza un qualche interesse cinematografico. Stupisce invece Season
of Heat di Kurahara Koreyoshi, che si allontana dalle convenzioni di genere
della casa di produzione, per raccontare la vita di un malvivente, interpretato
da Kawachi Tamio, che uscito di prigione a causa di una soffiata di un giornalista, che la colto sul
fatto mentre rubava una borsa, inizia insieme a un complice una vita nella
illegalità, fino a che incontra casualmente il giornalista con la fidanzata, e
quest’ultima viene rapita e stuprata da Kawachi per
vendetta. Alla fine il loro diverrà un legame fatto di ricatti. La borghesia
dimostra di avere lo stesso volto dei poveri, sporchi e corrotti, pronti a
difendere ad ogni costo la loro rispettabilità. Un film aspro e con uno stile
visivo avvicinabile a quello della Nouvelle Vague,
apprezzabile per l’inequivocabile cattiveria di fondo. A parte tutto la
rassegna sul mondo della Nikkatsu action, ci ha dato
la possibilità di conoscere da vicino questa fetta di cinema a noi sconosciuta,
constatando la profonda fertilità immaginifica di questa nazione. Passando alla
rassegna corrente, si è potuto vedere Lorelei: the witch of the pacific ocean di Higuchi Shinji,
superproduzione basata sull’avventura fantastica nella seconda guerra mondiale
del sottomarino giapponese, che ha il compito di intercettare e annientare il
B-29 americano con a bordo la bomba atomica da sganciare su Tokyo. Un film
ovviamente fracassone nella messa in scena di effetti speciali , ma con la
purezza epica del racconto che si attiene diligentemente sulle corde medie di
buon prodotto d’intrattenimento, che appena uscito nelle sale giapponesi è in
cima al box-office. Crying out love, in the center of
the world di Yukisada Isao, delinea nelle
forme accese di un dramma romantico la storia d’amore tra Saku
e Aki, che attraverso i nastri delle loro
conversazioni in gioventù, acquista il potere catartico di un viaggio
attraverso un amore indissolubile e lancinante, che indiscutibilmente affascina
in alcuni momenti di culminante emozioni, ma a causa di una tenuta narrativa
eccessiva e da alcuni frangenti prevedibili, fanno mancare alla pellicola quel melò conturbante indispensabile per la resa finale. Lady Joker
di Hirayama Hideyuki,
ci prova con il giallo raccontando il rapimento di un dirigente di una famosa
fabbrica di birra, da parte da alcuni outsider della società giapponese, per
ricavarne una certa somma di denaro. Quello che interessa al regista e
analizzare le dinamiche dei protagonisti, mettendo in luce le profonde
divisione che esistono in un mondo, dove i più agiati si discostano
dall’accettare di riconoscere la rispettabilità dei più deboli, che a loro
volta, incarnano il volto desolato di una sconfitta inevitabile, che assume i
connotati di una spirale senza via di uscita . Un film profondamente amaro,
abilmente costruito sulle tracce del thriller sociale, dimostrano il talento di
Hirayama Hideyuki che già
in passato ci aveva coinvolti con Turn e Laughing frog. Il Giappone, rappresenta ancora il punto focale della
cinematografia orientale, inesauribile nella sua multiforme capacità di
offerta, che spazia su un ventaglio di autore e opere, ineguagliabile per
qualità e ricerca espressiva.
Voto
7