Udine Far East Film 9
Hong Kong & Cina
Corea del sud Vs. Giappone
Come abbiamo sempre ribadito, la Cina e Hong Kong sono le
facce della stessa moneta, ma le differenze stilistiche nei generi
cinematografici sono ancora evidente, a parte certi distinguo autoriali come
per esempio Jia Zhangke, fresco vincitore del Leone d’oro all’ultimo festival
di Venezia con il bellissimo Still Life. Se alcuni registi cinesi hanno
raggiunto lo status d’autore, non si può dire che il cinema prettamente
popolare sfoderi perle di cinema; mentre ad Hong Kong, l’aria non è delle
migliori da tempo, eccezion fatta che il cinema nelle sue declinazioni di
genere vive e prolifera, spesso con risultati altalenanti, ma ci possiamo consolare con la meravigliosa
retrospettiva sul maestro Patrick Tam,
rinverdendo i fasti di un grande passato. Puntando gli occhi sulla Cina, Young
and Clueless di Tang Danian, si addentra in una storia d’amore tra adolescenti,
seguendo i loro stati d’animi in un coming of age classico nella sua evoluzione
narrativa, peccato che la padronanza vacilli nella parte centrale e naufraghi
in un finale vacuo, mal supportato da una sceneggiatura senza ispirazione
alcuna. Da Taiwan arriva Eternal Summer di Leste Chen, dove il rapporto fra una
ragazza e due giovani, uno dei quali è innamorato dell’altro, soffre di
incomprensioni e sentimenti sottaciuti. Dramma d’amore giovanile ben supportato
dalle interpretazioni dei tre protagonisti, anche se la pellicola non si
svincola da un senso di già visto e da una prevedibilità di fondo che non
emoziona, seppur nella sua tenue classicità di racconto ben servita da una
fotografia livida e da una mano di regia accorta. Yau Nai Hoi, sceneggiatore di
fiducia di Johnnie To, passa dietro la macchina da presa con Eye
in the sky, un thriller passo, passo su una squadra di sorveglianza della
polizia che è sulle tracce di una banda di ladri di gioielli. Il meccanismo ad
orologeria della suspense su un pedinamento costante, risulta alla fine uno
sterile esercizio di stile, e sarebbe servito altro corpus creativo per
ribaltare l’immaginario di partenza, affrontando le piaghe del vivere
quotidiano con cuore nero. Peccato per l’occasione mancata. Come dicevamo in
partenza, il vero evento è stato la retrospettiva completa del padre della new
wave degli anni ottanta ad Hong Kong: Patrick Tam. Interessante scorgere temi sociali
e spunti reali, divenuti matrice tangibile di un fare cinema diverso dagli anni
settanta in poi, slegato dalle logiche produttive del passato, per parlare del
reale con stile rinnovato nei suoi lavori televisivi. Se la serie poliziesca
C.I.D. è delineata su coordinate precise e abbozza i primi passi in una
direzione socio-problematica, spesse volte non trattenute da forme
didascaliche, il seguente lavoro televisivo Thirteen, delinea episodi di alta
caratura, come Suffocation con un giovane Chow
Yun-fat, dove un fotografo è ossessionato dalla violenza e dalla morte, in
un connubio visivo morboso di forza espressiva coagulante tramite l’isolamento
del protagonista: senso ultimo dell’esistere nella sua incomunicabilità. In
Seven women, l’episodio On sai, Yeung see-tai, may lee, il quadro si compone di
tre storie di coppie in crisi, con una intervista nel primo cartello ad una
giovane, interfacciata agli episodi seguenti in una forma di significato
compiuto sull’insoddisfazione d’amore e dell’impossibilità della felicità, con
un tratto linguistico penetrante vicino alla migliore tradizione della nouvelle
vague. Tam è sempre stato cultore dell’occidente, captando le diverse mutazioni
creative, passando per la passione della pittura e della musica, fondendole con
il suo sguardo intransigente e aprioristico all’epoca. The sword, all’apparenza
potrebbe sembrare un tradizionale wuxiapian, ma nel seguire il peregrinare di
un giovane spadaccino alla ricerca di un famoso maestro d’armi, da sfidare in
un duello per ottenere la fama del migliore, si scorge l’illusoria ricerca
dell’uomo che si affanna per domare il destino a suo piacimento, ma diventa
vittima del tempo nelle sue costanti imprevedibili: amore e felicità sfuggono a
causa di una spada e del suo potere ammaliante. Love
Massacre, purtroppo presente in una unica copia disponibile al mondo con
aggiunta di taglie sulle scene scabrose, vede la storia di un uomo con turbe
psichiche che si innamora di una giovane laureanda, e man mano manifesta il suo
disagio, divenendo follia omicida nell’uccidere senza pietà le compagne nel
collegio femminile. Uno slasher movie girato in America, che si svincola ben
presto dalla forma base per diventare riflessione acuta sull’impossibilità di
amare, utilizzando gli stilemi di ricerca sul colore come Antonioni, in un
finale di profonda disperazione. Nomad è stato presentato al festival in due
versioni, la prima con l’aggiunta di scene assenti dalla copia DVD, che più di
tanto non aggiunge; la seconda è la versione che più si avvicina a quella
integrale. Opera vertiginosa nel ritrarre con disincantata leggerezza una generazione,
quelli degli anni ottanta, senza ideali, dove si respira il senso sfuggente del
presente, in un limbo nostalgico senza via di fuga, ben esplicitato da un
finale furente. Altra riflessione su quei anni è la pellicola Cherie, con le
due star dell’epoca Cherie Chung e Tony Leung Ka-wai, nella loro fulgida
bellezza in una commedia delle parti fortemente simbolica, giocato sugli
stereotipi consueti: arte, denaro e bellezza, in un ribaltamento ludico, atto a
denigrare il pensiero vacuo di quel periodo, gonfio nella ridondante estetica
fine a se stessa. Opera che più delle altre risente del passare del tempo, e
incuriosisce per il diverso approccio stilistico di Tam. Final Victory, scritto
dall’allievo Wong Kar-wai, ci
porta nel mondo del goffo Hung, che riceve il compito di occuparsi delle due
donne del fratello e boss Big Bo ( il regista Tsui Hark ). Nel compiere la sua
missione si innamorerà di una delle due. Film gangster che fa incursione nella
commedia nera, efficacemente sostenuta da una copione vivido e magistralmente,
curato visivamente da Tam nei suoi aspetti primigenie d’autore. Ultimo lavoro
realizzato da Patrick Tam dopo diciassette anni d’esilio è girato in Malaysia,
vede come protagonista un bambino abbandonato dalla madre e del suo rapporto
difficile con il padre, roso dalla disperazione dopo la fuga della moglie, in
un legame conflittuale fino all’inevitabile deriva. After this our exile è un
dramma deludente, nel rimarcare segni precostituiti di un rapporto padre e
figlio, espressivamente didascalico nel suo eccedere drammaturgico e ispessito
per una durata oltremisura. A compendio della magnifica rassegna sul regista di
Hong Kong, non si può citare lo splendido saggio curato da Aberto
Pezzotta, Patrick Tam: dal cuore della new wave con schede approfondite sui
suoi film e serie televisive, sconosciute ai più, oltre ad una bella intervista
al maestro e le testimonianze di altri artisti, a concludere i scritti sul
colore e le recensioni del Nostro e la filmografia completa. In una rassegna
come quella del Far East Film, adagiato sul cinema popolare, la qualità
selezionata rispecchia l’andamento di una stagione, nelle sue luci e ombre, ma
quando si porta a conoscenza di un
autore come Patrick Tam, l’eccellenza prende il sopravvento per un cinema che
non abbiamo potuto conoscere prima, grazie ad una vetrina come quella di Udine.
Voto
8