Il giardino delle vergini suicide
Lost in Translation - L'amore tradotto
Marie-Antoniette
Somewhere
Il titolo originale dell’opera
seconda della figlia d’arte Sofia Coppola, equivalente più o meno a “perso
nella traduzione”, rende perfettamente l’idea dello stato d’animo dei due
protagonisti di questa strana commedia, sbalestrati dallo iato linguistico (spesso
allungato con risultati esilaranti) che si crea quando nella traduzione tra due
lingue va perso qualcosa del concetto originale. Bob e
Charlotte sono due anime straniere oppresse dalla solitudine che si incontrano
per caso nel multicolore calderone metropolitano di Tokyo, riuscendo per una
strana magia a stabilire un indecifrabile relazione che sta a mezzo tra
l’amicizia, il rapporto filiale e l’amore, indecifrabile perchè per certi versi
anche tale relazione perde qualcosa nella traduzione emotiva di due persone che
hanno difficoltà ad esprimere i propri sentimenti e per di più separate da un
vero abisso generazionale. Bob è un ultracinquantenne stella hollywoodiana sul
viale del tramonto, in trasferta giapponese per girare uno spot come testimonial
di una marca di whisky locale disposta a pagargli un irrinunciabile cachet di
due milioni di dollari. Charlotte è invece la moglie ventenne di un giovane
fotografo di moda sulla cresta dell’onda, che la lascia sola per intere
giornate nel lussuoso hotel che ospita anche Bob. Mentre il maturo attore è in
fase calante, ‘costretto’ a svendersi nella pubblicità per cifre esorbitanti,
Charlotte ha incamerato da appena un anno una laurea in filosofia e non ha ben
deciso che fare da grande. Comune è invece lo spaesamento sentimentale dei due
protagonisti di Lost
in Translation: Charlotte continua a chiedersi chi è il giovane che ha
sposato e che non riconosce più, e Bob è costantemente in fuga da una carriera
ingombrante ma anche da una moglie che gli preferisce di gran lunga i figli,
gli spedisce fax notturni incurante del gap dei fusi orari per
ricordargli scadenze familiari in serie e addirittura gli invia per corriere pacchi con campioni di
moquette per lo studio precisando anche il colore più indicato da scegliere. Mentre i
giorni passano Bob e Charlotte continuano ad essere oppressi da un'insopportabile insonnia e cercano di scoprire insieme le attrattive di una
cultura decisamente agli antipodi rispetto alla loro. Tra sessioni alcoliche
nei bar, un po’ di immancabile karaoke, qualche bizzarro incontro con gli
indigeni, un tempio buddista ed un locale a luci rosse tra i due sboccia
qualcosa di troppo tenero ed improbabile per mettere radici e propinarci uno
scontato happy ending che con ottima scelta Sofia Coppola
decide di evitare: nonostante la comunicazione perduta durante la traduzione
dei propri sentimenti, Bob e Charlotte tornano alle rispettive vite avendo
appreso qualcosa di significativo sul Giappone ma anche su se stessi.
Applaudito a Venezia in concorso nella sezione “Controcorrente” (dove ha
fruttato il premio per la miglior attrice a Scarlett Johansson), Lost
in Translation ci riconsegna un Bill Murray in forma
smagliante e conferma quanto di buono Sofia Coppola aveva lasciato intravedere
nel difficile esordio de Il giardino delle vergini
suicide. Gli incontentabili troveranno troppo blando il ritmo
narrativo, definendo sbrigativamente Lost in Translation come troppo
lento, quando in realtà raccontare questa storia in modo avvolgente e rilassato
costituisce la cifra di un film davvero intrigante, in grado di regalare
perfino qualche citazione da cinefili, come la breve sequenza de La dolce
vita proiettata in tarda notte da una TV nipponica. Da non perdere.
Lost in Translation - L'amore tradotto (Lost in Translation), regia di Sofia Coppola, con Bill Murray, Scarlett Johansson, Giovanni Ribisi, Anna Faris; commedia; Usa; 2003; C.; dur. 1h e 42'
Voto
7/8
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