Con un set impeccabile e visionario i Muse hanno
confermato di essere la formazione europea del momento. La strepitosa alternative rock band inglese ha inaugurato
alla grande mercoledì 30 maggio 2007 alle 21,30 al Piazzale Michelangelo
di Firenze i quattro mesi di FI.ESTA (il
programma di Firenze Estate 2007 inventato da Piero Pelù) con un concerto in cui la
grinta e la poesia crepuscolare e apocalittica del gruppo è stata esaltata
anche da una scenografia perfetta, moderna e spregiudicata quanto basta per ben
figurare nei pressi del David sopra a Firenze.
Immagini
video (di repertorio, originali e altre create sul momento grazie a una
studiata ed efficace interazione live), un gioco visuale inarrestabile, incalzante,
sferzante, come la musica ben diffusa da un potente impianto di amplificazione
sospeso. Grande brit pop e soprattutto una comunicazione irruente,
irrefrenabile, con una creazione in presa diretta spalmata su varie superfici: i
tre maxi schermi, la simil astronave di led che incoronava la batteria di Dominic
Howard in un pulsare continuo e vitale, vari punti del palco avveniristico, gli occhi della gente. Flash di arte contemporanea, luci computerizzate e una sventagliata di immagini hanno fatto esplodere le emozioni dei tanti fan (9.063 i biglietti venduti) anche dal punto di vista visivo. Una sinergia fra i linguaggi che ha caratterizzato senza posa tutto il palco che, fuori dalle consuetudini del pop, è stato
spazzato da un’inarrestabile esplosione di fresca energia, Padroni della
situazione i Muse
che, dopo Juliette Lewis,
che con i suoi Juliette & The Licks, ha aperto la serata, hanno attaccato la performance con “Knights of Cydonia”, subito
doppiata da “Super Massive”.
L’ispirato performer Matthew Bellamy e Chris Wolstenholme a ogni pezzo hanno alternato una chitarra e un basso diversi e i momenti più soft sono stati sottolineati da un piano a coda elettrica, con la tastiera illuminata e la
copertura trasparente. Pezzi dandy per un gruppo tosto, emotivo e sensibile al
tempo stesso. In rassegna i brani dei quattro fantastici album della formazione, compreso l’ultimo “Black Holes And
Revelation”, per un concerto ben orchestrato, di successi vecchi e nuovi.
The Muse, dalla metà degli anni 90 illuminano (senza mai ripetersi) di intensità compatta e seducente la dark side del pop rock, ma a Firenze hanno dato quel qualcosa in più che si dà nelle occasioni speciali, in quei momenti
in cui la band on stage e il pubblico sono una cosa sola. E le emozioni diventano palpabili e condivise. 80 minuti senza pause o flessioni. Un vortice per “Black Hole”, come pure su una dilatata “Feeling Good”. Un bel crescendo
con “Plug
in Baby”, la popolarissima “Starlight”,
poi il gran finale con l’affascinante hit “Stockholm
Sindrome”. Nel mezzo la grinta lucida dei Muse. E non è poco.
Voto
8