Chissà se quella sera di novembre di 25 anni
fa Daniel Miller, già allora boss della casa discografica Mute Records,
avrebbe mai potuto ipotizzare che quel gruppetto venuto dall’industrialissima Basildon,
nell’Essex, con quel nome pomposo ( i Composition Of
Sound) sarebbero diventati gli alfieri di un nuovo genere, un sound techno pop
miscelato a sonorità sempre di tendenza che li avrebbe resi unici nel panorama
musicale mondiale.
Ribattezzatisi Depeche Mode (dal
titolo di una rivista modaiola francese) , quella sera
si guadagnarono il loro primo ingaggio e da allora ad oggi la loro corsa non ha
conosciuto battute d’arresto.
Le due date di Milano parlavano chiaro sin dalle
prevendite, esaurite da mesi – con bagarini che hanno incassato fino a 2-300
euro a biglietto - ed i 24.000 che accolgono Fletcher, Gore e Gahan, sono un pubblico eterogeneo , che spazia dai
sedicenni incantati dai singoli dell’ultimo album “Playing
the Angel” (l’undicesimo, per l’esattezza) ai
musicofili di tutte le età e generazioni, fan degli esordi oramai cresciuti,
che non smettono di ritrovarsi in quel loro suono affascinante, sensuale e
lacerante allo stesso tempo.
Apripista The Bravery, già
visti a Bologna durante l’Independent Days di settembre,gruppo
a metà tra le sonorità
DM, i Suede, con
una spruzzatina di Cure; si
rivelano un scelta azzeccata, godibilissimo aperitivo di una mezz’oretta prima
dell’evento. La loro uscita di scena lascia spazio alla visione
illuminata dell’imponente apparato scenografico. Il set strumentale è composto
da due strutture di metallo che avvolgono le
postazioni dei synth di Andy Fletcher e del
turnista Peter Gordeno; sembrano quasi un omaggio ai Kraftwerk, sempre
citati come una delle maggiori fonti d’ispirazione della band.
Completano
il set il batterista aggiunto Christan Eigner e l’anima del gruppo Martin Gore, con il trucco sciolto sugli
occhi - oramai
segno che lo contraddistingue –e ali
nere piumate sulle spalle , richiamo al Mr. Feathers
della copertina di Playing the Angel.
Spostando
lo sguadro a sinistra, una grossa sfera d’acciaio scandisce
i momenti del concerto con quattro parole : Sex, Pain, Angel, Love che si
accenderanno a seconda del brano, filo conduttore di una serata ricca di
stimoli visivi oltre che sonori. Sotto queste parole al neon, un display sul quale si visualizzeranno alcune parole scelte
del brano eseguito, una specie di bignami semantico
del gruppo.
Le luci
seguono la traccia (anche cromatica) della sfera facendosi rosse o bianche a
seconda del momento, avvolgono tutto il palco, che completano senza mai
prevaricare la regia video che rimanda le immagini del concerto su sei
maxischermi mobili che fanno da fondale, alternando momenti della serata ai
soliti bellissimi video di Anton Corbjin, artista da
tempo collaboratore dei DM.
Si
spengono le luci e parte "A Pain That I'm Used
To", seguita da John The Revelator,
brani dell’ultima fatica, ma sarà con “A question of
time” che il Filaforum si infiammerà.
L’amatissimo
frontman Gahan è in
forma,43 anni davvero ben portati, a dispetto degli
eccessi da rockstar - dai quali si dice
“pulito” da almeno 9 anni – balla nella sua tipica maniera scoordinata e
sensuale, ed interagisce col pubblico dal quale ottiene sempre un’ottima
risposta.
I ritmi diventano più lenti quando il frontman lascia il
microfono al polistrumentista del gruppo Gore, per la nuova “Macro” e la
meravigliosa ballad “Home”.
Segue il terzetto di singoli dall’album
“Violator” : "World in my eyes" scenografata dalle riprese del flessuoso e ipnotico
oscillare di Gahan, "Personal Jesus"
col suo blues industrial, scheletrico e poderoso ed "Enjoy the silence” , sulla quale il
pubblico esplode in un coro unico mentre il display della sfera visualizza proprio
l’ossimorica parola “silence”.
Suoni
precisi e mai
esagerati , arrangiamenti che non stravolgono i pezzi ma hanno un suono
alleggerito rispetto all’originale, e si vola verso i due bis, anche se tutto
sembra essere appena cominciato.
"Question of lust" per la sola voce
di Gore, seguita da “Just can’t
get enough”, “Everything Counts” e poi ancora
sul palco per una “Never let me down again” coreografata da 48.000
braccia levate al cielo che ondeggiano da destra a sinistra come il grano.
Il colpo
d’occhio è da spezzare il fiato. Chiude
questo meraviglioso viaggio all’indietro nel tempo, un duetto intimista e sussurrato
di Gahan e Gore della recente Goodnight
Lovers (in Exciter,2001 ndr), che festeggiano le loro nozze d’argento che non sono
state certo prive di scontri e dissapori : Dave che
con “Playing The Angel”
diventa finalmente coautore dei testi del gruppo – firma tre brani, di cui due
eseguiti anche live - ha incontrato non
poche difficoltà da parte di Martin, genio assoluto e assolutista che solo
nell’ultima produzione ha ceduto alle pressanti richieste del collega, per
quanto nessuno dei due abbia comunque saputo resistere alla tentazione
dell’album solista, senza saper bissare, in entrambi i casi, il consenso di
pubblico tributato alla band al completo.
Depeche Mode
magnetici magnifici e inossidabili, e tante altre ancora potrebbero essere le
aggettivazioni per questo gruppo da “sold out”, che per la gioia di tutti coloro che non hanno avuto la fortuna di vedere suonare
l’angelo nel fine settimana di Milano, potranno tentare la caccia al biglietto
per le due date annunciate poco prima che finisse lo show al Filaforum all’Heineken Jammin’ Festival di
Imola, il 16 giugno 2006, e allo Stadio Olimpico di Roma, il 17 luglio 2006.
Voto
8