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 Fascino. E' forse l'unica parola che racchiude in sé le mille indicibili sfumature della musica, delle parole di  Paolo Conte. Le suggestioni surreali, gli esotismi, il retrogusto jazz, l'ironia dell'artista hanno trionfato ancora una volta nell'eco di scroscianti applausi e di ripetuti bis che  l'avvocato di Asti ha tenuto nel 1999 all'Auditorio del Santa Cecilia a Roma . Lo spettacolo su cui è centrato il nuovo tour si chiama  "Soirée Mocambo"   e già nel titolo sta un po' la novità: il ritorno di Conte alle sue antiche origini musicali racchiuse proprio 
nell'Uomo del Mocambo, quell'eroe perdente, il più autentico protagonista delle sue storie, certamente non dimenticato dal suo pubblico affezionato. Rivive il Mocambo, il piccolo bar tenuto da un elegante signore di bell'aspetto, forse un po' ignorante, che cerca nell'universo femminile una compagna che lo ascolti.  Ma questa volta oltre a canzoni  come "Un gelato al limon", "Via con me",  "Sono qui con te sempre più solo",  nella straordinaria acustica del Santa Cecilia,  la band del cantautore (undici elementi tutti rigorosamente in smoking) ha fatto davvero la parte del leone.  
Batteria, percussioni, contrabbasso, sax baritono hanno preso  spesso il posto delle parole, suggerito e creato  un'atmosfera che sa di tabarin, di jazz club e di polverose/gloriose memorie.  Le storie quasi tutte fatte di poche, ma precise, parole rimangono un po' sulla punta della lingua, mai del tutto espresse. Ma il bello è proprio questo. E nel "suggerito", nel non detto, sta proprio la raffinatezza di quest'artista di provincia che lascia  spazio all'immaginazione, alla fantasia, all'emozione. Ma non alla dispersione.  Non ci sono finali agli amori tratteggiati da questo artista che i francesi ci invidiano ( ... e i francesi ci rispettano che le balle ancora gli girano). Non ci sono eroi, ma in ogni canzone ci possiamo ritrovare, se non tutta, almeno un pezzo della nostra vita.  Il "tarattatà" modulato, il "babbarabà" o i mille altri versi  con cui Paolo Conte si accompagna come fossero uno strumento, sono il senso delle sue canzoni. E lo abbiamo capito dai bis: neanche una parola, solo versi e un mare di applausi che la platea ha lasciato sgorgare senza fine reclamando altri bis.  
Il guerriero di provincia, l'ineffabile Conte forse era un po' affaticato, ma ha dato sfogo fino in fondo alla sua voce stropicciata, aspra, inconfondibile, ha soddisfatto la platea fino all'ultimo. Un'ultima notazione per il raffinatissimo accompagnamento della cantante  Ginger Brew, che dal maggio 1990 collabora con Paolo Conte (ha partecipato al disco "Parole d'amore scritte a macchina" e, in seguito ad altri album e tante  tournée). La vocalist  ( figlia dell'ambasciatore del Ghana) verso la fine dello show, ha esaltato con i suoi controcanti l'inimitabile vocalità del poeta dell'altrove. Voto 
                8  |   
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