No, non è facile. Parlare di questo album senza tenere contro dei suoi retroscena è, anzi, impossibile. Doveva essere il progetto in duo di Ferretti e Zamboni, insieme ad un libro da scrivere a quattro mani. Nella Berlino che, ai tempi del Muro aveva visto nascere i CCCP ed oggi, nel decennale dell'unificazione tedesca e della sua capitale, vede Zamboni ormai fuori dai CSI.
E' diventato il disco solista di Giovanni Lindo, che pure ha mantenuto il lavoro impostato con l'amico Zamboni. Ed è il disco in cui l'impronta musicale è consegnata nelle mani elettroniche dell'obliquo Eraldo Bernocchi (uomo con un recente passato di esperienze con Bill Laswell ed Almamegretta).
Ferretti parla, canta, vaneggia come il poeta visionario che amiamo. Con una tonalità appena un filo più cupa del solito, sicuramente più intimista e personale. D'altro canto, Bernocchi si dimostra discreto nella sua stesura dello sfondo sonoro, con un rispetto dello stile e delle melodie che diventa quasi timore al cospetto della sigla CSI. Più che un nuovo progetto, ad un primo ascolto sembra un disco dei CSI con il freno a mano tirato. E non è così, perchè è l''effetto Berlino' a governare i suoni, con l'atmosfera di tranquillo grigiore di una città densa al tempo stesso di pulsioni futuristiche e di concreta creatività. Nella frenetica calma della ricostruzione, che le donerà la Potsdamer Platz invano cercata da Wim Wenders.
Parla, Ferretti: verbi a scandire il racconto di senzazioni che hanno nel tempo e nell'uomo, vita e morte, pace e guerra, i riferimenti principi. Il passato presente futuro di Cadevo, Barbaro, Neukolln, Polvere, Frontiera, alla scoperta del Codex che dia o non dia una risposta definitiva perfino negativa alla domanda iniziale, Warum. In uno stato confusionale che appare la più lucida e preziosa delle conquiste e la più reale delle realtà.
Voto
7