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Quanto mi piace uccidere
Storia di un politico toscano
Egumteatro/Gogmagog, testo e regia di Annalisa Bianco e Virginio Liberti (che firma anche la regia). Con Tommaso Taddei una produzione Egumteatro/Gogmagog e Festival Metamorfosi La Città del Teatro
Il 3 giugno 2010 a Cascina per il festival Metamorfosi, venerdì 30 luglio 2010 al Teatro dei Risorti – Festival di Radicondoli, il 6 maggio 2011 al Teatro Magnolfi di Prato

 




                     di Tommaso Chimenti


Come un’arringa dal balcone, come un comizio elettorale, infarcito di parole d’ordine come “amore, passione, valori, famiglia, patria, Dio, sogni, rigore, morale, speranza, sobrietà”, di quelli rassicuranti, che piacciono tanto alla gente. Come se la troppa moralità e pulizia nascondesse, o dovesse celare necessariamente, un lato buio, oscuro, indecifrabile. La troppa moralità porta alla repressione, la repressione all’esplosione incontrollabile della violenza. Tommaso Taddei, attore fondatore della compagnia fiorentina Gogmagog, collabora nuovamente in questo “Quanto mi piace uccidere” con il regista ed autore brasiliano Virginio Liberti anima degli Egumteatro, dopo il pirandelliano “Questa sera si recita la nostra fine”. TT, in una grande prova d’attore, è eccitato nel suo ciuffo laccato, lisciato e schiacciato di lato alla Hitler, il suo sguardo allucinato, disperato, emaciato, gelido e sanguinolento, la sua faccia da angelo demoniaco e infante inquietante alla Kurt Cobain, in completo grigio e cravatta a pois, impeccabile e ineccepibile come l’ American Pshycho di Ellis, racconta agli ascoltatori la sua carriera, personale e politica, senza tralasciare alcun particolare. Oggi è un deputato, un front man ricolmo di principi positivi, di quelli che solcano la retta via, che danno consigli, che indicano il giusto, che sanno sempre scegliere tra il bene e il male, che separano il grano dalla crusca, che demonizzano la gramigna. A ritroso ci porta per mano dentro gli inferi familiari, dentro le ossessioni e le manie di un nucleo, compatto, unito come un pugno, tutto casa e chiesa. Alle 11 della mattina a Radicondoli, scelta inusuale ma felice del nuovo direttore Gabriele Rizza, “teatro cappuccino e brioche”. Il testo di Liberti è una mezz’ora di disgustoso vomito di parole, una fiumana corposa e splatter, un torrente in piena che rompe gli argini dell’udibile e dell’accettabile, una diarrea di emozioni contrastanti, il caldo dell’amore e il caldo del sangue, una violenza che gronda, un’aggressività che scende, zampilla horror, trova la sua fonte e foce, si spande densa, si dispiega e s’allarga come macchia sul pavimento. La normalità del male. Uccidere come forma d’amore estrema, come ricordo di famiglia, come per rinsaldare e rinforzare il legame con la madre che dopo la morte ha lasciato una lettera “per farsi mangiare e per non essere mangiata dai vermi”, con il padre che si uccide sotto una macchina per lasciare al figlio i soldi dell’assicurazione. Taddei era già stato protagonista alcuni anni fa nella parte del “mangiato” ne “Il ristorante dai tanti ordini”. Stavolta il contrappasso dantesco lo porta a vestire i panni del carnefice, del cannibale, maligno e malvagio. “Ti mangio, ti bevo, ti amo”. Buon appetito. L’appetito vien mangiando.

Voto 8 

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