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  19/04/2024 - 14:15

 

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La Regina nera
Di e con Silvia Frasson
Dedicato a Caterina de Medici. Musiche dal vivo Tommaso Ferrini
Visto a Villa Peyron, Vincigliata, Fiesole, Firenze, all’interno dell’antico frantoio il 29 giugno 2011, all’interno del Mese Mediceo

 




                     di Tommaso Chimenti


La sfortuna può portare fortuna. Fin quando non si decide di voltarle le spalle e di tentare la via della forza contravvenendo alle circostanze precedenti. E’ la parabola del capitolo doloroso (quale non lo è tra le figure medicee!), di Caterina, dolente e traumatica e tragica già prima di meritarsi il titolo di Regina nera. L’abito nero luttuoso che contraddistinse la parte finale della vita della regnante di Francia, ma di casato e provenienza fiorentina, accompagna, dietro, non distante né così nell’ombra, le parole di Silvia Frasson, anch’essa in pece, che dona corpo, anima e voce agli accadimenti, agli avvenimenti di cinquecento anni fa, in molti aspetti simili all’oggi. E’, in definitiva, una storia d’amore, raccontata crogiolandosi nel difficile e pirotecnico equilibrio tra la commozione e le risate che, in entrambi i casi, dal piccolo palco della calorosa e calorifera e sudoripara stanza sotto il castello fiesolano (altra “scoperta” mostrataci da Alessandro Riccio), passano chiare e nette alla platea che, cullata, accoglie tra denti aperti e occhi lucidi. Dicevamo le sfortune e l’amore, due bestie che si rincorrono, si annusano, si mordono, si leccano, certamente si cercano. Le due note di questa storia segnata, rugata, ferita fin dai primi vagiti. Ma c’è un’innocenza, una delicatezza, un tocco leggero della Frasson (si capisce da che parte sia schierata) nel raccontare da una parte l’ennesima disgrazia e sventura e, nel frattempo, fare da contraltare con la susseguente “gioia”, come a parare il colpo, come a pareggiare la bilancia del destino. Come dire che, con costanza, pazienza, con il sacrificio, senza violenza, senza la dirompenza, l’aggressività, la funesta voracità, le cose si sistemano da sole, si mettono al loro posto, i nodi si sciolgono. Ci vuole calma e sangue freddo, anche incoscienza e sensibilità. Dal letame possono nascere i fiori. Ma è proprio quando, segnata, svilita ed avvilita, ma ancora più forte e non più agnello sacrificale sull’ara, la Regina vuole fare sentire tutto il peso del suo scettro e della sua sofferenza che magicamente perde i suoi “poteri” verso la grazia del cielo, nei confronti delle buone stelle che fino a quel momento avevano, con percorsi sì accidentati e non molto logici, vegliato su di lei. L’odio genera soltanto altro odio. Una storia, però, intrisa d’amore: innanzitutto amore per la vita, per la generosità, per lo stupore e il sollievo, per le piccole cose, per l’umiltà, per i sentimenti, senza presupponenza, senza arroganza, in punta di piedi. E ci è facile amare questa sovrana bruttina, orfana, che da principio vogliono giustiziare solamente per il cognome che porta, ultima del casato dei Medici, poi palleggiata tra tutti i pretendenti che la vogliono come merce di scambio, sempre sola o abbandonata o sopportata e delusa, dopo non amata dal marito che la tradisce, non amata dai figli che le sono stati sottratti alla nascita dalla nutrice, ed infine vedova. Un amore infinito anche nelle miserie personali, un amore che non salva, ma che rallenta l’abbrutimento. Amore come medicina alle brutture subite, come balsamo per gli affronti, panacea dei mali inferti, sollievo quando sollievo non può esserci.

Voto 7 

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