Non ci sono soltanto i grandi pianeti che ruotano, le stelle comete lucenti, le galassie
cristalline. Quelle passano alla Storia, ai posteri, sui libri, passano di
bocca in bocca a distanza di centinaia di
anni. Ma non tutti possono assurgere all’alto dei cieli, non tutti
diventano icone, non tutti, anzi pochissimi, riescono a passare la soglia del
tritacarne e dell’imbuto del Tempo. Il tempo appiattisce e produce fotografie sbiadite
dove si notano soltanto in primo piano alcuni personaggi, mentre tutti gli
altri fanno contorno, arredamento, carta da parati. Come se non ci fossero
stati. I “Mondi in minore” (10, 12, 15, 16, 17, 18, 19, 22, 25, 27, 28, 29 giugno, e 1, 2, 3 luglio 2011) siamo tutti noi che
viviamo, soffriamo, ridiamo senza lasciare traccia alcuna, senza creare
capolavori o manufatti durevoli, senza essere ricordati con targhe, premi, senza monumenti celebrativi. Onesti pedalatori, gregari dell’esistenza, facciamo volume, facciamo massa, creiamo traffico e ingorghi, facciamo figli, paghiamo le bollette; nulla più. Ma
senza gli ultimi non ci potrebbero essere i primi. Non siamo cattivi, ma siamo
tanti con l’ambizione di sgomitare (i quindici minuti di
Andy Warhol ci hanno
rovinato) fino ad arrivare, finalmente, ad un posto al
sole, come lucertole su un muretto d’estate, in prima fila. Pochi ce la fanno e
la fama è breve, come la cotta dell’innamoramento. Ed
allora,
Riccio e
soci, alla nona edizione del
Mese Mediceo (tra un po’ saranno finiti i nomi del casato che dominò Firenze da
spolpare e dissanguare in queste divertenti piece tra il rievocativo, lo
storico ed il giullaresco) hanno rivangato piccoli personaggi che, per
timidezza, pudore, disautostima, mancanza di
coraggio, penuria di carisma da condottieri, non hanno avuto la possibilità, la
fortuna, il piglio, ma anche l’arroganza ed in taluni casi l’efferatezza e la
violenza, di emergere, di stanziare sopra le teste altrui con prepotenza ed
arroganza. Perché per comandare bisogna esserci nati. Molti rampolli medicei (e
di molte altre famiglie in auge, anche moderne) sono stati schiacciati dalla
responsabilità del cognome che portavano, che li ha fatti rintanare nella
gabbia dorata di palazzi e feste in uno scivolamento verso la depressione,
l’abbrutimento, l’imbarbarimento, la perdita di senso della realtà. Alessandro
Riccio stavolta ci regala la faccia ombrosa del potere, non quello mostrato,
non quello di lustrini, ma quello delle seconde e terze linee, di quelli che
avrebbero potuto ma che non sono riusciti. Fanti e non Re. Da Santa Maria Novella
una portantina (trasportata da quattro ragazzotti bravi non solo con i bicipiti
ma di lingua sciolta e ben registrati nelle baruffe da gatto e topo, negli
scontri, nelle rincorse, nei tafferugli, e dalla dialettica emancipata) naviga
per le vie del centro. Le stradine piccole, buie, quelle che i turisti
scansano, quelle non riportate nelle guide. Quattro personaggi, quattro tappe,
quattro luoghi, accompagnati da due ragazze-guide che, con ironia e competenza
e professionalità, spiegano le bellezze nascoste di questa Firenze celata e
sconosciuta, i piccoli particolari, le curiosità, i dettagli. Riccio è uno ma
si divide, anzi si moltiplica, in quattro. Al
Museo Marino Marini è un attore
(Don Lorenzo de’ Medici) tutto agghindato che cerca disperatamente i propri cani fuggiti, bestiole che dovevano entrare in scena nel secondo atto del dramma che si stava rappresentando. Dietro Palazzo Rucellai è un cardinale (Carlo de’ Medici) avvinazzato e mangione che continuamente burla i quattro addetti alla (pesante) portantina, poi, tra Santa Trinita e il Lungarno Acciaiuoli è Eleonora de’ Medici, zitella non proprio
in fiore di casa Medici che non riesce a trovar marito e si offrirebbe
anche volentieri ad uno dei quattro servi: per un’ora d’amore non so cosa farei. Finale davanti alla Casa di Dante dove un timidissimo principe (Don Francesco de’ Medici) non riesce ad esporre il proprio sentimento all’amata alla finestra e viene costretto, spinto, minacciato dai
suoi energumeni al seguito per farlo scendere dalla carrozza e per farlo dichiarare. Non esistono soltanto gli eroi, ci dice Riccio. Ci siamo anche noi: piccoli, finiti, fallaci, mortali. Basta guardarsi allo specchio. Gli eroi son tutti giovani e belli. Del doman non v’è certezza. Meglio un giorno da leone o cento da pecora?
Troisi rispose: “Ma
cinquanta da orsacchiotto non si può?!”
Voto
7