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  25/04/2024 - 19:19

 

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laLut
Le sagome
Di Filippo De Dominicis, con Sergio Licatalosi, Francesco Pennacchia, Angelo Romagnoli, costumi Marco Caboni, luci Silvia Bindi, editing musicale Stefano Jacoviello
Co-produzione: Armunia, Festival Voci di Fonte Siena, Festival Errances di Conques

 




                     di Tommaso Chimenti


E' talmente potente e folgorante, e attuale, l'immagine dell'urna elettorale, che brilla e s'illumina di colori sparati in una stanza familiare smorta e colma d'angoscia, che viene in mente il non aver mai visto, né sulla scena né altrove, tale, abbagliante, abbinamento. Forse l'Italia e gli italiani hanno, da sempre, da prima del reuccio di Arcore, fin dalle prime elezioni nella scelta tra Repubblica e Monarchia che, si dice, siano state caratterizzate da brogli, un problema con le schede elettorali, con il voto. Un tabù che La Lut con “Le sagome” scandaglia ed indaga con lucida ironia leggera e sottile e soffice, a tratti infantile, pura per poi esplodere senza riserve nello scorretto. Tre spermatozoi in costumini aderenti ed adamitici si aggirano, sconvolgendolo e distruggendolo, per un seggio elettorale. L'urna e le cabine diventano il set per un continuo gioco tra rincorse e botte dove alla fine a votare è sempre lo stesso personaggio, mentre alcune schede vengono distrutte, altre mangiate e strappate a morsi. Si ride. Molto i bambini. E' un impianto delicato muto con improvvise accelerazioni e pause esaustive, dopo la muta rosa di Angelo Romagnoli (periodo fervido: “Amleto a pranzo e a cena” con De Summa, “Il mercante di Venezia” di Civica, la novità dell'Aspettando Godot degli Egum, a breve “Il custode” di Pinter ad Armunia), quella coloratissima e psichedelica di Francesco Pennacchia e la zebrata da savana di Sergio Licatalosi. L'impatto è estetico, cromatico, da miscela allegra e fantasiosa, di una forza dirompente, a tratti commovente. La loro magrezza sfila in mezzo ai teli bianchi svolazzanti, fuscelli sbattuti al vento in un campo di grano, bastoni che si piegano come fili d'erba senza spezzarsi, candele flebili. Siamo sagome, siamo figure, figurine in mostra per i calcoli di altri, siamo spostabili, intercambiabili, numeri. Ballano e saltellano nei loro anfibi guerreggianti, nei loro bastoni da drughi, negli occhiali dai colori azzardati come Giampiero Mughini o Elton John, negli scudi che sono coperti di pentole, cavalcando un destriero di peluche lanciato al galoppo. La croce sulla scheda non è segreta ma continuamente spiata, ci si tura il naso con un acchiappino da panni per non sentire l'odore fetido del “meno peggio” e la coscienza morale che si ribella come sommovimento intestinale, fino a sentirsi male, come folgorati dalla corrente, dopo aver imbucato il foglio con il timbro del Ministero dell'Interno. Prima si va a votare, con l'abito della domenica pensando di cambiare il mondo, poi si torna a casa, dove la solitudine regna e imperversa, dove mogli barbute dalle tette di palloncini gonfiati a dismisura fanno fusa simili a caffettiere in ebollizione (paiono la Linea di Cavandoli) con il marito erotomane e centrofallico, anziano affetto da priapismo, ed anche qui la mente corre in un'unica direzione. Famiglie di molestatori che scartano violentemente i regali per il pargolo cresciuto, un figliol prodigo che torna portando la luce del tubo catodico che illumina e anestetizza vite già scialbe e spente. Lo scatto da ricordare: le fotografie delle quali è possibile leggere soltanto le didascalie senza avere accesso all'immagine è pura poesia. Come tutto il resto.

Voto 8 

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