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  28/03/2024 - 22:36

 

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Scene da Romeo & Giulietta
Di William Shakespeare
Traduzioni Michele Leoni, Agostino Lombardo, Giuseppe Patroni Griffi, drammaturgia Federico Tiezzi, Barbara Weigel, Giovanni Scandella, regia Federico Tiezzi, scene Pierpaolo Bisleri, costumi Marion D'Amburgo, luci Roberto Innocenti, regista assistente Giovanni Scandella, coreografo Giovanni di Cicco, maestro di canto Francesca Della Monica. Con Marion D’Amburgo, Roberto Latini, Ciro Masella, Graziano Piazza, Alessandro Schiavo, Fabricio Christian Amansi, Giorgio Consoli, Simone Martini, Alessio Nieddu, Matteo Romoli, Caterina Simonelli, Francesco Tasselli e con la partecipazione straordinaria di Francesca Benedetti e Franco Graziosi
Prima nazionale al teatro Fabbricone di Prato dal 26 novembre al 20 dicembre 2009

 




                     di Tommaso Chimenti


Dal bianco e nero della buca al kitsch colorato sparato della strada. Romeo & Giulietta di Tiezzi è un contrasto a due dimensioni, quella adulta, vecchia, passata, incorniciata in un baratro-piscina svuotata- cripta, dove il pubblico sta sopra a guardare giù, sotto nella botola, in profondità nell’arena, dentro il buco, e l’apertura in una strada di periferia ricostruita d’asfalto e lampioni, di roulotte zingaresche e guardrail. Il Fabbricone è sventrato, distrutto, non siamo in teatro, siamo in un’ampolla sospesa prima, tra i bianchi di letto e poltrone, e neri anziani amanti eterni, quei Romeo e Giulietta mai morti, ma vivi in perituro che si scambiano ancora promesse e baci candidi, che ansimano di attesa e passione, che si mangiano con gli occhi in una sensualità di corpi quasi statici e sicuramente rallentati dall’appesantirsi dell’età. Non giovani, non scattanti, non belli come gli eroi, ma decadenti di carne avvizzita, rattrappiti, imbolsiti. Amanti perenni come sottolinea didascalica la colonna sonora “I will survive”, anche in spagnolo dal palco-concerto attorniato da rovine di colonne di templi. Un inno all’amore che ha davanti un futuro radioso fatto di ore del presente, piene e dense, di abbandono come un requiem di commiato reiterato in un rewind continuo. Che la Storia non ha memoria. Dalla vetustità di un sentimento che mai muore, la scena, e il pubblico, si sposta nel grande capannone ricavato come navata di questo rituale profano. La guerra, la battaglia, Orazi e Curiazi, viscerale, dura, fisica, sudata, violenta, tra due bande rivali, opposte fazioni d’odio. Montecchi e Capuleti sono due gang Rom(eo) di tute da ginnastica e stivali da cow boy trash, di catenone d’oro rozze al collo, di petti villosi che sobbalzano al ritmo di canti slavi e gitani, di capelli imbrillantinati. Tra una carovana di bare di legno e caravan sfondati, i gruppi, come scimmie, come giocatori di basket, si affrontano in un’epifania di ormoni e testosterone nel mezzo dell’accampamento. Sono dei Bravi da Bronx, Ragazzi della 56esima strada, mafiosi da Little Italy, bulli di Grease, duri di West Side Story che duellano a suon di capoeira, di tango omosessuali tra inchini e caschet, di scontri coreografici alla Kill Bill, di giravolte in paillette e trucchi e parrucche. Romeo (Matteo Romoli) assomiglia terribilmente a Di Caprio (al cinema nel postmoderno Romeo + Giulietta del ‘96), Roberto Latini è un Mercuzio in abito da sposa, sempre carnale, Ciro Masella il padre in carrozzina di Giulietta, Marion D’Amburgo (suoi anche gli azzeccati costumi) la confidente della giovane, Caterina Simonelli è una Giulietta rock in roller blade che bene si destreggia tra i muscoli. I riferimenti, freschi, giovani, molto cinematografici, si sprecano: ci sono pusher dal gilet giamaicano, bastoni roteati alla Fred Astaire, hip hop e gansta ghetto, cartoon manga, cappotti di pelle in stile Matrix e Guns and roses e roulette russa e sparatorie che ricordano Sid Vicious nella “My way” versione Clash. Certamente d’impatto il finale dove la buca e la strada si fondono.

Voto 8 

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